Il Kōdōkan jūdō fu proibito nel dopoguerra?

Il Kōdōkan jūdō fu proibito nel dopoguerra?

 

La risposta breve è: no. Passiamo ai dettagli.


1 Localizzazione l’argomento

Le arti marziali non furono mai proibite durante il periodo dell’occupazione americana del Giappone, malgrado una nutrita bibliografia, corredata da una altrettanto nutrita serie di risorse in rete, sostenga il contrario. Secondo tale ricostruzione, le arti marziali, e fra esse il Kōdōkan jūdō, vennero colpite da un interdetto subito dopo la fine della guerra, e si dovette attendere anni per poterle nuovamente praticare.

Questo studio si propone di dimostrare che la tesi non regge ad una indagine rigorosa, rivelando simultaneamente la facilità con cui la stessa viene accettata e diffusa senza verificarne la fondatezza.

 

2 Il problema epistemologico: argumentum ab auctoritate

Una parte significativa della biografia di riferimento, comprendente sia testi cartacei che digitali, si limita a reiterare l’idea della proibizione delle arti marziali da parte delle forze di occupazione americane senza circostanziarla. L’affermazione viene validata dall’autorevolezza, vera o presunta, della fonte, e si diffonde grazia alla disponibilità del pubblico a ripeterla acriticamente.

Si tratta di esempio classico di ciò che in logica viene definito argumentum ab auctoritate, che procede come segue:

  • la maggior parte di ciò che l'autorità "A" dice sull'argomento "S" è corretto
  • "A" dice "P" riguardo all'argomento "S"
  • pertanto, "P" è corretto.

L’argumentum ab auctoritatem su basa su due presupposti:

  1. l'autorità deve essere un legittimo esperto della materia
  2. deve esistere un consenso, tra i legittimi esperti della materia, relativamente alla discussione

Semplificando al massimo, questa impostazione si risolve non di rado in una delle possibili declinazioni della frase “l’ha detto il maestro, quindi è vero”. Tuttavia, al venir meno dei presupposti suddetti, l’intero ragionamento crolla. Qui risiede il nocciolo del problema: poiché non esiste alcuna prova documentale che l’occupazione americana abbia mai decretato il divieto di praticare le arti marziali, tutta l’argomentazione si regge sulle parole di questo o di quel maestro, esperto di questa o quella disciplina. Malgrado ciò, essere un luminare del Kōdōkan jūdō, del karate, del jūjutsu, dell’aikidō e simili, non si traduce necessariamente in una equivalente competenza in materie quali Storia, Linguistica o Filosofia.

I paragrafi che seguono illustrano due esempi di Argomento dell’Autorità riferiti all’ambito delle arti marziali.

 

2.1 - Henry Plée e L’Arte Sublime ed Estrema dei Punti Vitali

Henry Plée (1923-2014) è riconosciuto come il pioniere del Karate in Europa. Nel 1944 si iscrive al Judo Club de France di Kawaishi Mikinosuke (1899-1969), allora inviato ufficiale del Kōdōkan in Francia, formandosi inizialmente al Kōdōkan jūdō. Secondo la sua biografia riportata sulla pagina francese di wikipedia, Fukuda Ryutarō, un traduttore che gli aveva reso accessibile un articolo di Life sul karate, lo mette in contatto con Don Draeger, all’epoca residente in Giappone, che nel 1953 gli invia un video sul karate. Plée si dedica senza posa all’insegnamento e alla ricerca, aprendo il proprio dōjō, il Karate Club de France, nel 1955. Al momento della morte è in possesso di una serie di alti gradi in numerose arti marziali, compreso un 10° dan in karate e un 5° dan in Kōdōkan jūdō.

Plée è autore di numerose opere sulle arti marziali, fra le quali spicca L'art sublime et ultime des points vitaux, pubblicato in Italia come L’Arte Sublime ed Estrema dei Punti Vitali. Nel libro, del quale abbiamo avuto modo di parlare qualche tempo fa (vai all'articolo), Henry Plée racconta di come numerosi maestri di arti marziali fossero stati coinvolti ob torto collo nelle attività di quello che l’autore chiama il "Centro di Ricerca sulle Tecniche di Combattimento Ancestrali" . Come conseguenza della loro collusione con il regime,

“quasi tutti questi maestri furono condannati come “criminali di guerra” nel novembre 1947, ed alcuni furono giustiziati con un certo numero di grandi responsabili (come Tojo e Hirota) per non avere rispettato le Convenzioni di Ginevra”.

PLEE, Henry L’Arte Sublime ed Estrema dei Punti Vitali, p.62, Mediterranee, Roma 1999

L’idea è in aperta contraddizione con i fatti.

  • La sentenza di condanna fu emessa il 4 dicembre 1948, dunque non è possibile che siano state eseguite delle condanne a morte nel novembre 1947.

  • Le Convenzioni di Ginevra sono quattro, solo due delle quali formulate prima della fine della Seconda Guerra Mondiale. La prima risale al 1864, cioè a 4 anni prima della nascita del Giappone come stato moderno. Il Giappone, non avendo sottoscritto le prime due Convenzioni prima dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale, non poteva essere perseguito per mancata applicazione delle stesse.

  • L’accostamento con Tōjō e Hirota, due criminali di guerra di classe A condannati a morte per crimini contro l’umanità, è fuori luogo in quanto nella lista di coloro che furono sottoposti a processo nel Tribunale di Tōkyō non figurano persone imputate per il solo fatto di essere maestri di arti marziali. https://www.nationalww2museum.org/war/topics/tokyo-war-crimes-trial

Stante la possibilità di un possibile errore nella traduzione dal francese all’italiano, questo è un buon esempio di come un grande maestro di arti marziali non sia necessariamente un grande esperto di Storia.

 

2.2 - Documenti sul Sig.Abbe e lo scioglimento del Dai Nippon Butokukai

Sul sito di Busen Milano è presente un articolo su Abe Kenshirō intitolato Documenti sul Sig.Abbe.

Non è datato, ma si può stimarne approssimativamente la data poiché il testo menziona due circostanze: la morte di Abe nel 1985 e un libro contente la sua biografia, 当世畸人, pubblicato in Giappone nel 1987.

L’articolo si presenta come una sorta di riassunto del capitolo relativo ad Abe Kenshirō, corredato da “note di redazione” tra parentesi, e si conclude con un commento di Cesare Barioli. La frase seguente, e la nota di redazione che la accompagna, sono di particolare interesse:

 

molti Maestri del Budo dovettero rinunciare all’insegnamento e il Butokukai, accusato di fomentare  l’orgoglio nazionalista e lo “Spirito del Giappone”, venne abolito (con una clausola del trattato di pace voluta da Mc Arthur).

 

L’asserzione si rivela problematica a molteplici livelli di analisi:

  • come vedremo, i documenti del Comando Supremo Alleato indicano che la pratica delle arti marziali era permessa, dunque ne era consentito l’insegnamento.
  • Secondo la Gazzetta Ufficiale, conservata presso la Biblioteca della Dieta Giapponese, l’ordine di scioglimento del Dai Nippon Butokukai risale al 9 Novembre del 1946 (https://dl.ndl.go.jp/info:ndljp/pid/2962462/2)  mentre il Trattato di Pace, o Trattato di San Francisco, venne firmato nel 1952.
  • il Trattato di San Francisco pose fine all’occupazione americana sancendo il ritorno del Giappone alla piena sovranità; pertanto, non può avere determinato la proibizione di alcuna arte marziale né lo scioglimento di istituzioni di sorta.

 

3 La proibizione delle arti marziali nel dopoguerra nelle fonti bibliografiche e online

Una narrazione comune permea in maniera trasversale i testi sull’argomento delle arti marziali, tanto quelli cartacei che quelli digitali. Tale narrazione si caratterizza per il sostegno alla tesi della proibizione imposta dalle forze di occupazione sulla pratica delle arti marziali, accompagnata dalla mancanza di riferimenti testuali a sostegno della tesi stessa.

 

3.1 Pubblicazioni cartacee

L’idea della proibizione delle arti marziali nel dopoguerra si ripropone frequentemente nella bibliografia di riferimento in lingua occidentale. Gli esempi che seguono vengono proposti in ordine cronologico. Malgrado non vi siano fra essi riferimenti incrociati, è riconoscibile una visione comune del tema in oggetto.

Oscar Ratti e Adele Westbrook, in Aikido e la sfera dinamica, affermano:

 

“There was a temporary ban on any instruction in military arts (1945), but with renewed stability Japan once more assumed a position of prominence in Asia and in the community of nations, and this ban was lifted. Since then, aikido has expanded until today it is being taught all over the world”

Vi fu una proibizione temporanea di ogni insegnamento di arti militari (1945), ma con la rinnovata stabilità in Giappone ancora una volta assunse una preminente in Asia e nella comunità delle nazioni, e la proibizione venne rimossa. Da allora, l'aikido si è espanso fino a essere oggi insegnato in tutto il mondo.

RATTI, WESTBROOK, Aikido and the Dynamic Sphere, p.30, Tuttle, 1970

 

Parte del problema risiede nell’uso della parola “qualunque” (any), poiché la direttiva ufficiale parlava di “addestramento militare o paramilitare”. Ratti e Westbrook giustamente scrivono “istruzione alle arti militari”, e non di “arti marziali”, ma la distinzione si perde rapidamente. Nelle successive iterazioni, il concetto si sposta da “militare” a “marziale” e la ragione della proibizione viene collocata all’interno di una logica di indebolimento della nazione giapponese.

 

Kobukai foundation ceases activity due to post-war ban on Martial Arts

La fondazione Kobukai cessa le sue attività a causa della proibizione contro le arti marziali nel dopoguerra

(PRANIN, STANLEY A. Encyclopoedia of Aikido P.162, Aiki News, 1991)

 

“Alla fine della guerra, con l’occupazione americana, le arti marziali vengono osteggiate e quindi praticamente abolite per indebolire lo spirito della nazione”.

CERESA, Fabio Lezioni di Aikido, p.9, De Vecchi Editore, Milano 1999

 

Bisogna in primo luogo precisare che nessuno dei tre libri citati offre un riferimento testuale sul quale basare le proprie affermazioni.

In secondo luogo, il fatto che i succitati passaggi siano tratti da libri sull’Aikidō risponde a un preciso dato storico.  Il Kōbukai, cioè l’organizzazione istituita da Ueshiba Morihei per governare la disciplina dell’Aikidō che egli stesso aveva fondato, era stato effettivamente colpito da un interdetto, di natura però ideologica, non tecnica: l’ordine di scioglimento che coinvolgeva il Kōbukai era dovuto alle attività filo-militariste dello stesso, e solo come conseguenza ciò ebbe un effetto sulla pratica dell’Aikidō. In questo senso, Pranin compie un’operazione dubbia dal punto di vista accademico, ribaltando il rapporto causa-conseguenza. Se interruzione della pratica vi fu, si dovette allo scioglimento del Kōbukai in quanto organizzazione ritenuta in qualche modo legata al militarismo, non in quanto istituto che offriva istruzione in un’arte marziale.

Un concetto pressoché analogo viene espresso da Monica Amarillis Rossi nell’introduzione vergata di suo pugno al libro Jigoro Kano o L’origine del Judo:

 

Dopo la sconfitta del Giappone nella Seconda guerra mondiale, gli americani interdissero tutte le arti marziali, compreso il jūdō. I jūdōka poterono allenarsi solo clandestinamente.

(HANCOCK, H.Irving, KATSUKUMA Higashi Jigoro Kano o L’origine del Judo, p.28 Luni Editrice, Milano 2005)

 

Neppure in questo caso sono proposti riferimenti bibliografici che comprovino la correttezza dell’affermazione dell’autrice.

 

3.2 Wikipedia

L’idea della proibizione delle arti marziali nel dopoguerra si manifesta in maniera tutt’altro che sporadica anche nelle risorse testuali disponibili in rete. Le voci Kōdōkan jūdō, Jujutsu e Karate di Wikipedia Italia riportano quanto segue:

Judo

Fu perciò proibita la pratica della disciplina e i numerosi libri e filmati sull'argomento vennero in gran parte distrutti. Il judo venne poi "riabilitato" grazie al CIO di cui Kanō Jigorō, primo membro asiatico, fece parte quale delegato per il Giappone

https://it.wikipedia.org/wiki/Judo

Jujutsu

Nel secondo dopoguerra però, a causa della totale proibizione delle arti marziali tradizionali sancita dal generale MacArthur […]

https://it.wikipedia.org/wiki/Jujutsu

Karate

Nel dopoguerra il generale Douglas MacArthur proibì la pratica delle arti marziali, ritenute l'anima dello spirito militarista nipponico […]

https://it.wikipedia.org/wiki/Karate

Nessuno degli articoli menziona alcuna fonte bibliogafica che indichi la supposta proibizione. 

 

3.3 Sitografia italiana

Una consistente porzione della sitografia italiana in materia di Kōdōkan jūdō fa eco alla pagina suddetta, riportando verbatim la frase della pagina jujutsu di wikipedia Italia.

http://www.accademiadellaviamarziale.it/2017/05/02/jujutsu-la-storia/

https://www.budovedeggio.ch/classes/jujitsu/

http://www.asd-yu-dojo-bushido-ryu.it/discipline-e-formazione-ju-jitsu-kali-kalasag-nutrizione/storia-del-ju-jitsu-origini-tradizioni-samurai/

http://dpsantonino.ch/jujitsu.php

https://artemarziale.wordpress.com/tag/arti-marziali-giapponesi/

https://www.atjb.ch/Ju-Jitsu-57241400

http://www.trjj.it/index.php?option=com_content&view=article&id=43

(nota: i siti sono stati verificati prima della pubblicazione del presente lavoro in data 19/12/2021)

Si tratta di un esempio da manuale di argumentum ad popolum, una tipologia di fallacia logica secondo la quale si accetta qualcosa come vero perché la maggior parte delle persone pensa che lo sia. L’ironia della situazione è che Wikipedia si regge su un ristrettissimo numero di creatori di contenuti sui quali una larghissima parte dell’opinione pubblica fonda le proprie valutazioni, e data la persistente mancanza di riferimenti a opere scritte in materia, si deve concludere che l’adesione dei più all’idea della proibizione delle arti marziali si basi sulle affermazioni di pochissimi.

Sottoponendo a indagine la reiterazione dell’idea di una proibizione imposta dalle forze di occupazione, e l’attribuzione della stessa al generale MacArthur, ci si imbatte in un rivelatorio articolo di Moshe Feldenkrais.

 

3.4 L’intervista a Moshe Feldenkrais

Moshe Feldenkrais (1904 – 1984) incontrò Kanō Jigorō in Francia nel 1933. La sua biografia lo vuole come primo detentore di una cintura nera francese e fondatore della Federazione Judo francese insieme a Kawaishi Mikinosuke. Embodied Wisdom, una raccolta postuma di scritti di Feldenkrais pubblicata nel 2010, ne offre una vivida descrizione:

Mikonosuke Kawaishi (1899-1969) moved to Paris in 1936 and began teaching at the judo school Feldenkrais had opened in the Latin Quarter of Paris. Kawaishi was a fourth dan at this time and already an experienced instructor. He and Feldenkrais had a fruitful collaboration including running the school together, founding the French Judo association, and shooting many action photographs that were later used in both Feldenkrais's and Kawaishi's books.

Embodied Wisdom, p.142

 

Il sito del Busen Milano mette a disposizione la traduzione italiana di una intervista nella quale Moshe Feldenkrais discute la proibizione del Kōdōkan jūdō nel dopoguerra.

http://www.busenmilano.org/wp-content/uploads/2013/04/feldenkrais.pdf

Non ne riporta la data, ma l’originale inglese è rintracciabile online. L’intervista risulta essersi svolta nel 1977, per essere poi pubblicata nel Feldenkrais Journal nel 1986 e successivamente inclusa nel volume Embodied Wisdom pubblicato nel 2010.

Originale http://www.semiophysics.com/SemioPhysics_interview_with_Moshe.html

Italiano

Inglese

[…] Perché, vedi, il judo ha cinque milioni di membri attivi in Giappone. Contando le persone che hanno fatto judo e che poi hanno smesso di farlo, ci sono circa dieci milioni di persone che sono state coinvolte nel judo. E così MacArthur pensò che se si fossero incontrati in dei club, avrebbero potuto creare dei raggruppamenti di gente che non si sarebbero mai potuta tenere a freno. Dieci milioni di persone allenate che sono in grado di combattere efficacemente. Così, nel trattato di pace, fu proibito ai Giapponesi la pratica del judo in Giappone. Il generale MacArthur proibì il judo in Giappone. […]

 

[…] Because, you see, Judo had about 5 million active members in Japan. Counting those people who had done Judo and stopped doing it, there were about 10 million people who were involved in Judo. And so Macarthur (sic.) thought if they met in clubs, that's the kind of group of people that you could never hold down. Ten million people trained who can fight very efficiently. So the Japanese under the treaty were prohibited from practicing Judo in Japan. General Macarthur prohibited Judo in Japan.[…]

Si nota per prima cosa un curioso passaggio dai tempi del passato inglese, Simple Past e Past Perfect, al presente semplice italiano (il che incidentalmente fa sembrare che i numeri citati si riferiscano al momento in cui Feldenkrais parla, e non al periodo dell’immediato dopoguerra).

Nel corso dell’intervista, Feldenkrais sostiene dunque che:


1.      Il Kōdōkan jūdō venne proibito in Giappone nel dopoguerra

2.      Il responsabile della proibizione fu il generale Douglas MacArthur

3.      La proibizione fu motivata dal timore di una potenziale insurrezione da parte di milioni di praticanti di jūdō, che si sarebbe rivelata incontrollabile.

Nessuna delle affermazioni, come vedremo, regge al confronto con le fonti documentali.

 

3.5 Don Draeger e il “falsismo” della proibizione

Risalendo ancora più addietro alla ricerca della fonte dell’idea che le arti marziali fossero state proibite nel dopoguerra, si giunge a Don Draeger.

Donn Draeger (1922-1982) fu per molti versi un pioniere delle arti marziali in Occidente. Inizia la pratica del Kōdōkan jūdō da bambino, e dopo il servizio militare nel Corpo dei Marines, che include la sua partecipazione alla Battaglia di Iō Jima e alla Guerra di Corea, si dedica alla pratica e allo studio di diverse arti marziali, ottenendo fra gli altri il diploma di istruttore in Tenshin shōden katori shintō ryū, il 10° dan in Kyokushin Budo e il 5° dan in Kōdōkan jūdō. Fu il direttore della Società Internazionale di Oplologia e contribuì in modo significativo al riconoscimento delle arti di combattimento come un legittimo campo di studi accademici.

Guy H.Power, nella sua tesi di dottorato per l’Università di San José intitolata BUDÔ IN JAPANESE AND U.S. POLICIES del 1998, apre la terza parte del Capitolo 3 con il titolo Budo-ban: fact of fiction?, e procede a illustrare in dettaglio perché la nozione di una proibizione tout-court della pratica delle arti marziali in Giappone nell’immediato dopoguerra è semplicemente indifendibile. Dopo un ampio preambolo, introduce quello che chiama il “falsismo” nelle arti marziali prendendo ad esempio uno dei suoi più noti divulgatori.

 

Often, writers of history tend to pass on a “falsism” based on other writers’ research, expecting the information to be factual; this phenomenon occurs also within the field of martial arts research and history . Donn Draeger was a highly respected historian, researcher, and practitioner of budo, and is widely considered the most informed researcher of Japanese budo in the English language. Not detracting from Draeger’s mostly factual and scholarly contributions, he did make errors.

(p.71)

Dopo una discussione di una serie di inesattezze in alcune ricostruzioni dello studioso americano, Power procede quindi a indicare il “falsismo” di Draeger circa la proibizione delle arti marziali durante l’Occupazione:

Minor inaccuracies aside, Draeger’s most quoted “falsism” is that the US Occupation authorities banned all martial arts. Usually, this “falsism” is passed on and expanded by other authors who do not investigate any further; the “falsism” then becomes: “the post-war American occupation authorities under General Douglas MacArthur banned judo, aikido, and kendo.” Here are Draeger’s actual quotes on the martial arts ban:
Among the many measures taken by the Allied Powers to eliminate Japan’s potential to wage war was a prohibition of all institutions considered to be “the roots of militarism.” As a result, the Butokukai and its affiliates were disbanded….(Draeger,1996c:48).
This first part of the quote is true. However, the following second part of the quote contains misinformation which has been assumed by others to be true because Draeger wrote it: 
Included in the prohibition were classical bujutsu and budo, as well as the modern disciplines. But the Allied Powers were unable to identify precisely the component systems of the modern disciplines, and one such discipline – karate-do – escaped detection and continued to be openly practiced (Draeger,1996c:48) [emphasis added].
As we have seen in the actual policy statements, there were no prohibitions against “classical bujutsu and budo;” there were prohibitions against “para-military and quasimilitary training.” Although Draeger attempts to convey the spirit and the actual enforcement of the policy, he unwittingly creates a new myth: the Allied Powers prohibited all budo. Draeger would have done greater service had he stated that the policies were over interpreted and applied to the martial arts in addition to the targeted “military combat” training which was being instructed to civilians and school children. […]

 

A parte errori minori, il "falsismo" più citato di Draeger è che le autorità dell'Occupazione americana proibirono tutte le arti marziali. Di solito, questo "falsismo" è trasmesso ed espanso da altri autori che non svolgono ulteriori indagini; il "falsismo" allora diventa: "le autorità di occupazione americana del dopoguerra sotto il Generale MacArthur proibirono il judo, l'aikido e il kendo". Ecco le citazioni reali di Draeger circa la proibizione delle arti marziali:

Fra le tante misure prese dalle Forze Alleate per eliminare la capacità del Giappone di muovere guerra vi fu la proibizione di tutte le istituzioni considerate "radici del militarismo". Come risultato, il Butokukai e i suoi affiliati vennero sciolti  (Draeger,1996c:48)

Questa prima parte della citazione è vera. Tuttavia, la seguente seconda parte della citazione contiene informazioni errate che sono state da altri ritenute vere perché le ha scritte Draeger:


 

Compresi nella proibizione erano il bujutsu e il budo classico, così come le discipline moderne. Ma le Forze Alleate non riuscirono a identificare precisamente i sistemi che componevano tali discipline moderne, e una di queste discipline - karate-do - non venne scovata e continuò ad essere apertamente praticata (Draeger,1996c:48) [emphasis added].
 Come abbiamo visto nei veri documenti programmatici, non vi era alcuna proibizione del "bujutsu e budo classici"; vi erano proibizioni contro "l'addestramento militare e paramilitare". Benché Draeger cerchi di trasmettere lo spirito e la concreta messa in atto della direttiva, involontariamente crea un nuovo mito: le Forze Alleate proibirono completamente il budo. Draeger avrebbe reso un miglior servizio se avesse affermato che le direttive vennero interpretate per eccesso e applicate alle arti marziali oltre che all'addestramento al "combattimento militare" che veniva impartito a civili e studenti delle scuole [...]

Pag.72-3

 

Infine, Power offre due testimonianze di prima mano che scardinano completamente l’idea che le arti marziali fossero proibite all’inizio dell’Occupazione:

 

[…] Another view establishing that budo was not banned outright was written by the noted Buddhist scholar and author Christmas Humphries, who was attending the Tokyo War Trials as a news correspondent. He documents that after his arrival in Japan on 3 February 1946, judo was being publicly displayed in front of a group of American servicemen.  […] (Humphries, 1948:44). Because Humphries was actually on the ground soon after Japan’s surrender, his statement must be given stronger consideration […]. Stronger yet is Walter E. Todd (judo 7th dan), who puts this particular part of the myth to bed for good. He tells us, “I was sent to Japan. I arrived in the autumn of 1945....Abe sensei...registered me at the Kodokan. In a minute, he had me in the dojo, starting my initial lesson in judo. This was close to the end of 1945 or the start of 1946” (Heard and Davey, 1997:32). Todd’s statement conclusively indicates that judo was not proscribed in the private dojo, outside of the public schools.

[...] un altro punto di visto che stabilisce che il budo non venne proibito in blocco venne scritto dall'autore e noto studioso di Buddhismo Christmas Humphries, che partecipa al Processo di Tokyo come corrispondente giornalistico. Egli documenta che dopo il suo arrivo in Giappone il 3 Febbraio 1946, il Judo veniva pubblicamente dimostrato davanti a un gruppo di soldati americani […] (Humphries, 1948:44). Poiché Humphries era sul luogo in prima persona poco dopo la resa del Giappone, alla sua affermazione deve essere data forte considerazione […]. Ancora più forte è Walter E. Todd (settimo dan di judo), che mette fuori combattimento questa particolare parte del mito una volta per tutte. Ci dice: " venni mandato in Giappone, arrivai nell'autunno del 1945...Abe sensei...mi iscrisse al Kodokan. In un minuto fece in modo che fossi nel dojo per cominciare la mia lezione introduttiva di judo. Ciò fu verso la fine del 1945 o l'inizio del 1946" (Heard and Davey, 1997:32). L'affermazione di Todd indica in maniera definitiva che il judo non era proscritto nei dojo privati, al di fuori delle scuole pubbliche.

Pagina 80

 

La divulgazione italiana non è immune da problemi simili. A titolo di esempio, nel volume Fondamenti del Judo pubblicato da Luni Editrice nel 1997, che costituisce una ristampa del terzo volume de I Quaderni del Bu-sen, pubblicato da Kyu-shin do Editore nel 1995, compare una introduzione vergata da Cesare Barioli il quale, alla pagina 10 (11, se si considera la versione dei Quaderni del Bu-sen, Volume III), dichiara che la caduta dello shogunato avvenne nel 1852 a causa delle “navi nere”.

Sappiamo dai manuali di Storia, e in particolare dal resoconto ufficiale della missione, pubblicato nel 1856, che il Commodoro Perry raggiunse il Giappone nell’estate del 1853:

Commodore Perry cast anchor in the bay of Jeddo, the commercial capital of Japan, on the 8th of July, 1853

(HAWKS, Francis L. Narrative of the Expedition of an American Squadron to the China Seas and Japan, Vol. I, pag. 62, Beverly Tucker, Washington 1856)

 

Sappiamo inoltre che l’ultimo shōgun, Tokugawa Yoshinobu, non rimise il mandato nelle mani del Sovrano che nel 1867, ben diciassette anni dopo la data proposta dal maestro Barioli.

[…] On November 7 of that year (1867, n.d.T.) Yoshinobu invited all of the bakufu officials in Kyoto into the central audience hall of Nijo Castle. They waited breathlessly to find out what it was all about. Finally, Yoshinobu came in and was seated. Instantly, they prostrated themselves before him as one man. Yoshinobu had someone read aloud his document on the return of political power to the emperor, and shortly thereafter he began to speak. His words were eloquent and forceful. […]

SHIBA Ryōtarō, Saigō no Shōgun, p.206 Bungeishunju 1967


4 La realtà storica

Si può verificare facilmente l’inconsistenza dell’affermazione circa la “clausola di MacArthur”, poiché i documenti ufficiali relativi alla capitolazione del Giappone sono relativamente poco numerosi: la Dichiarazione di Potsdam, l’Instrument of Defeat e il Trattato di San Francisco del 1952.

 

4.1 La dichiarazione di Potsdam, l’Instrument of Surrender, il Trattato di San Francisco

 

La Dichiarazione di Potsdam

Il 26 Luglio 1945, a pochi giorni dalla conclusione dell’omonima Conferenza, le forze alleate rilasciarono la Dichiarazione di Potsdam, che dettava i termini per la resa incondizionata del Giappone. Essa è importante perché giustifica a priori la presenza delle future forze di occupazione Alleate nell’arcipelago, chiarendone l’obiettivo: l’Articolo 6 esige 
 
“l’eliminazione perpetua di coloro che avevano ingannato e traviato il popolo giapponese perché si imbarcasse nella conquista del mondo, poiché insistiamo sul fatto che un nuovo ordine di pace, sicurezza e giustizia sarà impossibile finché il militarismo irresponsabile non sarà scacciato dal mondo”.

https://www.ndl.go.jp/constitution/e/etc/c06.html

 

L’ Instrument of Surrender

Il documento firmato il 15 agosto 1945 per formalizzare la resa del Giappone alle forze alleate è propriamente chiamato Instrument of Surrender, tradotto con Atto di Resa Giapponese. Esso afferma in maniera chiara che al governo giapponese e allo stesso sovrano è concessa l’autorità di agire secondo le direttive del Comando Supremo Alleato nell’ottica della realizzazione di quanto stabilito dalla Dichiarazione di Potsdam.

Il Kōdōkan jūdō fu proibito nel dopoguerra?


Il Trattato di San Francisco

Il Trattato di pace fra il Giappone e le forze alleate venne firmato a San Francisco nel 1952 e sancisce chiaramente il ritorno della piena sovranità al popolo giapponese.

Whereas the Allied Powers and Japan are resolved that henceforth their relations shall be those of nations which, as sovereign equals, cooperate in friendly association to promote their common welfare and to maintain international peace and security, and are therefore desirous of concluding a Treaty of Peace which will settle questions still outstanding as a result of the existence of a state of war between them [...]

Poiché le Forze Alleate e il Giappone sono risoluti a che d'ora in poi le loro relazioni sia quelle fra nazioni le quali, come eguali per sovranità, cooperano in associazione amichevole per pronuovere il loro comune benessere e mantenere la pace e la sicurezza internazionali, e sono perciò desiderose di concludere un Trattato di Pace che sistemerà questioni ancora irrisolte come risultato dell'esistenza di uno stato di guerra fra esse [...]

(p.46)


The Allied Powers recognize the full sovereignty of the Japanese people over Japan and its territorial waters.

Le Forze Alleate riconoscono la piena sovranità del popolo guapponese sul Giappone e le sue acqua territoriali. 

(p.48)

Né la Dichiarazione di Potsdam né l’Instrument of Surrender, e tanto meno il Trattato di San Francisco, contengono alcun riferimento diretto alle arti marziali, al Kōdōkan jūdō o al Dai Nippon Butokukai, e nessuno dei tre fu approntato da MacArthur. In particolare, il Trattato di San Francisco stabilisce la restituzione della piena sovranità al popolo giapponese, dunque non è un controsenso pensare che possa contenere delle imposizioni in materia di politica interna a uno Stato sovrano. Di conseguenza, si deve concludere che tanto l’affermazione di Feldenkrais quanto quella delle “note di redazione” negli articoli succitati, per quanto concerne la volontà di MacArthur di proibire le arti marziali o il Kōdōkan jūdō tramite specifica clausola all’interno di un trattato, siano errate.

 

4.2 SCAPIN 548 e l’inizio dell’epurazione

Durante il periodo dell’occupazione, che va dal 1945 al 1952, il Comando Supremo delle Forze Alleate (Supreme Command of Allied Powers, d’ora in poi SCAP) esercita una autorità assoluta non tanto sulla nazione giapponese, quanto sulle sue strutture di potere.

Al fine di porre in atto quanto stabilito dalla Dichiarazione di Potsdam e dall’Instrument of Surrender, lo SCAP emana direttive che il legislatore giapponese è tenuto a promulgare sotto forma di leggi e decreti. Queste direttive vengono battezzate SCAPIN (Supreme Command of Allied Powers INstructions), e ricevono una numerazione progressiva.

Uno dei compiti ai quali lo SCAP si dedica fin da subito è l’eliminazione di organizzazioni e istituzioni utilizzate per la propaganda dell’ideologia militarista ultranazionalista, e la conseguente rimozione dal sistema di potere degli individui ad esse legati. Le direttive che regolano lo scioglimento di tali organizzazioni e l’epurazione degli individui coinvolti sono denominate rispettivamente SCAPIN 548 e SCAPIN 550.

L’articolo 1 della Direttiva SCAPIN 548 del 4 Gennaio 1946 impone al governo giapponese di proibire la formazione di qualunque partito politico, associazione o organizzazione, le cui attività comprendano fra l’altro, anche solo a livello dei singoli membri:

·        la resistenza alle forze di occupazione

·        il sostegno o giustificazione delle attività militari aggressive del Giappone all’estero


·        la fornitura di addestramento militare, o paramilitare, e la perpetuazione del militarismo e dello spirito marziale giapponesi.

(SCAPIN 548, p.1)

L’Articolo 2 dello SCAPIN 548 stabilisce che qualunque partito, associazione o istituzione, le cui attività ricadano nella casistica esposta all’Articolo 1, debba considerarsi sciolto e i suoi beni congelati.

L’appendice A fornisce una lista di organizzazioni da sciogliersi immediatamente

Da questa lista sono inizialmente assenti tanto il Kōdōkan quanto il Dai Nippon Butokukai, a ulteriore riprova del fatto che non vi fu alcuna “proibizione” tramite “clausola” ordinata da MacArthur.

È vero invece che viene cancellato l’insegnamento del budō a scuola. Per capire il perché, bisogna ripercorrere velocemente la storia del Dai Nippon Butokukai.

 

5 Il Dai Nippon Butokukai

5.1 La Storia del Dai Nippon Butokukai

Iniziamo con una doverosa precisazione: L’enciclopedia del Bujutsu Giapponese, afferma, al relativo capitolo che

il Butokukai attualmente esistente non ha nulla a che vedere con il Butokukai dell’epoca.

OSANO Jun, Enciclopoedia of Nihon bujutsu, p.218

Quello che era e ha rappresentato l’istituzione del Dai Nippon Butokukai originale si è esaurito con la sua dissoluzione nel 1946.

Alcuni autori non specialisti ne parlano come alternativamente come di una associazione al soldo degli ultranazionalisti, una struttura rivale che aveva sottratto il metodo al Kōdōkan jūdō per i propri scopi, o ancora come una sorta di incarnazione della longa manus dei militari tesa a carpire la gioventù giapponese. A titolo di esempio, I Quaderni del Bu-sen, Volume 3, riporta a pagina 8 una specie di indice in inglese, nel quale si legge:

“ he (Kano,N.d.T.) recommends kata practice; he argues with the arrogance of the Butokukai (which represented military power among the young).

AA.VV. Quaderni del Bu-sen, p.8 Kyu-shin do Edizioni, Milano 1995

Questa visione contrasta con la valutazione degli agenti della sezione di intelligence dello SCAP (Civil Intelligence Section G-2), secondo i quali il Butokukai si sviluppa in due momenti: dal 1895 al 1942 come istituzione privata e indipendente, dal 1942 in poi come apparato ministeriale alle dirette dipendenze del primo ministro Tōjō, il che significa che fino al 1938, anno della morte del Maestro Kanō, e per i successivi tre anni, il Dai Nippon Butokukai non fu in effetti il rappresentante di alcun potere militare in quanto si trattava ancora di una entità privata senza legami istituzionali con il governo. 

ORIGINE E NATURA DEL DAI NIPPON BUTOKU KAI (Società delle Virtù Marziali del Grande Giappone)

1. Il Dai Nippon Butokukai venne fondato a Kyoto nel 1895. Il suo obiettivo era la coltiva delle arti marziali tradizionali giapponesi come il Kyudo (tiro con l'arco), judo (lotta corpo a corpo) e kendo (scherma).

2. Nel marzo 1942 il Dai Nippon Butokukai fu riorganizato per servire i militari. Il Primo Ministro Tojo ne divenne il presidente d'ufficio e i ministri dell'Esercito, Marina, Educazione e Affari Interni divennero d'ufficio vice presidenti. Personale dell'Esercito e della Marina supervisionarono e addestrarono le persone che partecipavano alle attività del Dai Nippon Butokukai. Pratica della baionetta e tiro con il fucile vennero aggiunti al curriculum. Incontri competitivi vennero incoraggiati per rinforzare le abilità militari della popolazione.

(DAI NIPPON BUTOKU KAI, P.398)

Il destino del Dai Nippon Butokukai si intreccia con quello del Kōdōkan jūdō nel momento in cui Kanō Jigorō viene invitato a farne parte, nel 1899, in qualità di esperto di jūjutsu.  Successivamente dirige il gruppo di lavoro che nel 1906 codifica i kata del combattimento corpo a corpo, o Randori no kata, cioè in buona sostanza i già esistenti Nage no kata e Katame no kata sviluppati all’interno del Kōdōkan jūdō.

Il relativo manuale viene pubblicato nel 1908 in due volumi: una parte fotografica e una parte di spiegazione. Il nome del Maestro Kanō compare nell'intestazione in alto, scritto da destra verso sinistra come dei documenti formali, e accompagnato dal titolo hanshi 範士, il che significa che il Maestro Kanō deteneva il grado più alto fra quelli attribuibili dal Butokukai almeno a partire dal 1908. Sulla destra compaiono i nomi di due dei suoi migliori allievi, Isogai Hajime e Nagaoka Shuichi, oltre a Satō Hōken, tutti e tre con il grado di kyōshi 教士, indicati come coautori del testo. Tutti  e tre avevano partecipato al gruppo di lavoro per la definizione del kata. 

 


Il Dai Nippon Butokukai, tramite la scuola che aveva istituito nel 1905, chiamata inizialmente Bujutsu kyōin yōseisho e successivamente ribattezzata Budō senmon gakkō nel 1919, era responsabile della formazione dei docenti che insegnavano Kōdōkan jūdō e kendō agli studenti delle scuole medie e superiori. Le studentesse imparavano invece a usare il naginata, le cui insegnanti erano formate non nel Budō senmon gakkō, ma in una istituzione apposita collegata anch’essa al Dai Nippon Butokukai.

Il problema fondamentale è che, come riconoscono prontamente i membri del Civil Intelligence Service (G-2) una volta avviate le indagini, c’è una differenza marcata fra lo scopo originale del Dai Nippon Butokukai e quello di esso è stato fatto dal 1942 in poi. Vi è un’altra, significativa differenza fra l’esserne membri attivi a tutti gli effetti, e fra essi senza dubbio vi erano coloro che sposavano il militarismo e l’ultranazionalismo, e l’esserne membri semplicemente in virtù della propria professione. È questo il caso, ad esempio, di decine di migliaia di agenti e ufficiali di polizia, oltre che burocrati e politici di ogni levatura, compresi membri della Dieta.

Il Dai Nippon Butokukai venne ufficialmente sciolto nel novembre 1946 per via del fatto che dopo il 1942, cioè dopo essere passato sotto il controllo del governo, discipline come il tiro con il fucile e l’uso della baionetta erano entrate fare parte del suo curriculum, ed esse contavano come “addestramento paramilitare”. 

 

5.2 Scioglimento ed epurazione

In concreto, lo scioglimento del Dai Nippon Butokukai e la successiva epurazione di parte dei suoi membri furono il frutto di un negoziato fra due diverse fazioni dello SCAP, il Civil Intelligence Section (G-2) e il Government Section, e le autorità giapponesi.

Il Civil Intelligence Section (G-2) era contrario all’epurazione perché avrebbe compromesso irreparabilmente l’efficienza della polizia e della burocrazia giapponesi, dal momento che moltissimi esponenti di alto livello di entrambe sarebbero risultati membri del Butokukai e come tali sarebbero stati allontananti dal Servizio. Da una parte, il numero di crimini dalla fine della guerra era aumentato drasticamente ed eliminare gli ufficiali più esperti e competenti per il semplice fatto di avere avuto la tessera di una associazione sembrava controproducente. In secondo luogo, il Civil Intelligence Service faceva notare che le forze di Occupazione era numericamente insufficienti per tenere sotto controllo l’intera popolazione giapponese, compresi due milioni di reduci di guerra, senza l’aiuto di una forza di polizia autoctona efficace. Questo significa che l’affermazione di Feldenrakis secondo la quale la proibizione della pratica del judo era volta a prevenire un’insurrezione da parte di gente abile nel combattimento fraintende gravemente la realtà.

Il Government Section premeva per una epurazione più completa possibile perché funzionale all’obiettivo di eliminare il militarismo e chi lo propugnava.

C’è una ulteriore circostanza da considerare: malgrando l’importanza che il tema riveste per gli appassionati e i cultori di alti marziali, la pratica delle arti marziali, e in senso più ampio la proscrizione o meno di coloro che erano collegati in qualche modo al Dai Nippon Butokukai, si tratta di un frammento abbastanza marginale di un programma ad ampio raggio che si inserisce nel quadro politico della Guerra Fredda in Asia.

A dirigere il Civil Intelligence Section (G-2) era il Generale Chalres Andrew Willoughby (1892-1972), un convinto anticomunista la cui preoccupazione principale era troncare sul nascere l’infiltrazione di elementi marxisti e filosovietici all’interno delle Istituzioni della nazione giapponese in via di ricostituzione dopo gli anni del militarismo. Ciò è particolarmente rilevante alla luce del rientro di centinaia di migliaia di prigionieri arresisi all’esercito sovietico, alla liberazione dei detenuti politici, in massima parte di sinistra, e alla riammissione del Partito Comunista Giapponese nel novero della legalità, dopo essere stato sciolto con la forza e spinto in clandestinità durante gli anni del militarismo.

A capo della Government Section vi era invece il Generale Courtney Whitney (1897-1969), fortemente repubblicano, il cui interesse preminente era eliminare tutti gli ufficiali e i burocrati coinvolti con il militarismo e l’ultranazionalismo da ogni branca dello Stato giapponese.

Le autorità giapponesi, dal canto loro, erano sostanzialmente in accordo con le valutazioni del Civil Intelligence Section (G-2), sia perché numerosi importanti membri di alto livello delle istituzioni rischiavano di essere esclusi dalla vita politica, e dunque dai suoi benefici, sia il timore dell’impatto sulla pubblica sicurezza che la perdita di numero ingente di personale qualificato avrebbe inflitto al Paese.

La soluzione concordata prevede lo scioglimento del Dai Nippon Butokukai e la possibilità di epurare i membri attivi fra il 1942, l’anno in cui il governo ne assunse la guida, e il 2 settembre 1945.

Il Dai Nippon Butokukai però non era stato a guardare. Fin da subito si erano avviati contatti ufficiali delle forze di Occupazione. Da parte americana, Colonnello Pieter K.Roest (1898-1968), Capo del Divisioni Affari Politici del Quartier Generale dello SCAP, afferma che

Il Butokukai non potrebbe essere considerato  come al servizio del militarismo prima del 1942 a meno che non si considerino malvagie le attività atletice in esso praticate in relazione allo spirito dei samurai. Se si assume una simile posizione estrema, l'organizzazione era già condannata fin dal suo inizio nel 1895”

 

  (DAI NIPPON BUTOKU KAI P.423).

In secondo luogo, contatti preliminari fra ufficiali giapponesi e il Generale Kermit Dyke, Capo della Sezione Istruzione ed Educazione Civile dello SCAP,  avevano chiarito che la pratica delle arti marziali era possibile.

“L'ufficio di Collegamento Centrale ha cercato dia ffermare che il Generale Dyke, quando era a capo dell'Istruzione ed Educazione Civile, diede il suo assenso a che il Kendo e il Judo fossero praticati da individui con a fini sportivi, benché banditi dai curricula scolastici, e dunque questa organizzazione (il Butokukai, n.d.R.) era accettabile”. 

 


“in un'intervista stampa del 17 novembre 1945, quando il Generale Dyke disse che ai giapponesi era permesso formare dei club per partecipare a questi sport, ma che non avrebbero douto essere insegnati come parte del programma scolastico”

(Pp.462-63).

Per ottemperare a queste condizioni, specificate in sede di contatto con le forze di Occupazione, che permettevano la pratica del budō purché non imposta, la direzione del Butokukai aveva tenuto il 7 e l’8 dicembre 1945 una riunione nazionale nella quale si era deliberato fra l’altro di

  • eliminare l’insegnamento delle arti marziali dal sistema scolastica  
  • abolire il Budō senmon gakkō e la sua istituzione sorella per l’addestramento al Naginata

(P.510) (P.512-13)

 

Una volta ottenuto dalle forze di Occupazione parere favorevole rispetto alla pratica privata delle arti marziali non paramilitari, le autorità del Dai Nippon Butokukai decisero autonomamente di sciogliere il Budō senmon gakkō, eliminando l’insegnamento del budō dalle scuole come richiesto dallo SCAP. A ulteriore conferma, Hall afferma, nella sua traduzione di Kokutai no hongi,

“[…] Thus, the military arts (budō) were voluntarily suppressed by the Japanese officials themselves when they sensed from unofficial conferences that budō might otherwise become the target of much more sever official action.

[...] Così, le arti militari (budō) vennero volontariamente soppresse dagli ufficiali giapponesi stessi quando ebbero sentore durante incontri non ufficiali che il budō avrebbe altrimenti potuto diventare il bersaglio di azioni ufficiali molto più severe.

(HALL, Robert King, Kokutai no Hongi, p.43, Harvard University Press, Cambridge 1949)

 

6 Pratica continua e nuove arti marziali

Il 25 ottobre 1948 viene proposto allo SCAP un piano per approntare una commissione che si occupi di studiare la fattibilità di una Federazione nazionale del jūdō, per rispondere alle esigenze dei praticanti dispersi in tutta la nazione, dal titolo Zen Nippon judo renmei junbi iinkai.

B. Poiché l'ordine pacifico è stato successivamente ristabilito, l'entusiasmo per il Judo è aumentato gradualmente fra la gente in ogni parte del giappone, e oggi in varie nazioni dell'Europa e dell'America il numero di amanti del Judo è gradualmente in aumento.  

Questo entusiasmo per il judo prodottosi naturalmente fra la gente ha ora preso la forma della richiesta in ogni area e fra tutte le professioni, sembra, per la costituzione di un organo di collegamento dei circoli di Judo in tutto il Giappone, risultando nell'organizzazione di Lega Giapponese di Judo.


 
(Zen nippon judo renmei junbi iin kai p.6)

 Ciò dimostra che il judo era praticato diffusamente, e aertamente, a livello nazionale tre anni dopo la fine della guerra e quattro anni prima della fine dell’occupazione. Dunque, non solo il Kōdōkan jūdō non era proibito, ma non necessitava di essere riabilitato in alcun modo dal Comitato Olimpico Internazionale.

Nello stesso periodo in cui le arti marziali avrebbero dovuto essere proibite, due nuove arti marziali vengono alla luce e cominciano a diffondersi. La prima, chiamata Taihōjutsu, è relativamente sconosciuta e rimane circoscritta alle forze di polizia giapponesi. La seconda, lo Shōrinji kenpō, è oggi invece profondamente radicata e ampiamente diffusa sia a livello nazionale che internazionale. 

 

6.1 Taihō jutsu (1948)

Lo studio del Taihōjutsu si presta a un interessante confronto fra le posizioni occidentali e quella giapponese in materia di proibizioni della pratica delle arti marziali nel dopoguerra. La relativa pagina di wikipedia in inglese afferma che all’epoca della sintesi del Taihōjutsu le arti marziali fossero “proibite”. La pagina francese sostiene invece che vi fossero delle “restrizioni” sulle altri marziali, mentre la pagina giapponese non menziona proibizioni né restrizioni di sorta.

https://en.wikipedia.org/wiki/Taiho-jutsu

https://fr.wikipedia.org/wiki/Taihojutsu

https://ja.wikipedia.org/wiki/%E9%80%AE%E6%8D%95%E8%A1%93

Nel 1948 viene pubblicato un manuale dal titolo Taihōjutsu kyōhan 1948, “l’istruzione al Taihōjutsu”, il che fornisce una serie di importanti informazioni:

1.      Il libro viene pubblicato, dunque non era sottoposto a censura, pertanto non conteneva materiale che contravvenisse alle direttive dello SCAP

2.      Il manuale tratta di un sistema di combattimento sintetizzato a partire da altri sistemi di combattimento ad opera di esperti della Polizia, dunque di organi ufficiali dello Stato, che all’epoca era sotto il controllo diretto dello SCAP

3.      Il 1948 si colloca cronologicamente nel pieno dell’Occupazione, quando le dinamiche di potere e le procedure operative si erano già consolidate.

La venuta alla luce del Taihōjutsu è menzionata in Lezioni di Jujitsu (sic.) segno che in qualche modo l’informazione è giunta in Italia ed è conosciuta, almeno in linea teorica:

 

[…] a questo proposito è interessante sapere che già nel 1947 gli esperti della polizia giapponese avevano creato il Taiho jutsu (un metodo per l’attacco e la difesa), un insieme di tecniche desunte dal jujutsu e da diverse arti marziali appropriate per l’uso negli interventi di ordine pubblico e in azioni contro la criminalità.

BAGNUOLO, Giancarlo Lezioni di Jujitsu, p.10 De Vecchi, Milano 2001

 

6.2 Shōrinji Kenpō (1947)

La nascita dello Shōrinji Kenpō precede di un anno quella del Taihōjutsu. Le differenze fra le due discipline sono notevoli. In primo luogo, il Taihōjutsu non ha un caposcuola o un fondatore unico, mentre lo Shōrinji Kenpō si deve al lavoro di Sō Dōshin (1911-1980). Si tratta di una figura caratterizzata da alcuni tratti oscuri, quali l’appartenenza alla Società del Fiume Amur, poi sciolta in base allo SCAPIN 548, e la collaborazione con l’Esercito durante l’occupazione della Manchuria. Il fatto che, a dispetto delle sue credenziali, abbia potuto fondare e sviluppare un’arte marziale, con il relativo sistema di pensiero, proprio nel periodo iniziale dell’Occupazione, testimonia da un lato il progressivo rilassamento nell’applicazione delle misure previste dallo SCAPIN 548 e 550, dall’altro la fondamentale inconsistenza dell’idea di una proibizione tout-court in materia di pratica delle arti marziali. Sō Dōshin, in quanto membro di una associazione disciolta per effetto dello SCAPIN 548, ricadeva nel novero degli “indesiderabili” descritti dallo SCAPIN 550, ma poté ugualmente fondare e gestire una organizzazione privata nella quale si insegnava un’arte marziale di nuova concezione. 

 

7 Conclusioni

Il Dai Nippon Butokukai decise nel corso di una assemblea nazionale tenutasi il 7 e 8 dicembre 1945 di sciogliere il Budō senmon gakkō ed eliminare l’insegnamento del budō dalle scuole, allineandosi tanto a quanto previsto dall’articolo 6 della Dichiarazione di Potsdam quanto alle indicazioni ricevute nel corso dei contatti con esponenti delle forze di Occupazione.

Il Dai Nippon Butokukai originariamente non rientrava nella lista delle associazioni da sciogliersi automaticamente perché colluse con il militarismo così come elencate nell’appendice A dello SCAPIN548. Esso venne sciolto nel novembre del 1946, oltre un anno dopo la fine della Guerra, e i criteri per epurare coloro che vi risultavano affiliati vennero negoziati con lo SCAP al fine di minimizzare l’impatto sull’efficacia della burocrazia e delle forze di polizia giapponesi.

Non vi sono tracce documentali di una proibizione della pratica delle arti marziali né da parte americana né da parte giapponese. Vi è invece, da parte americana, la richiesta dello scioglimento di quelle associazioni che fornivano addestramento paramilitare, e da parte giapponese l’iniziativa autonoma di rimuovere l’insegnamento del budō dal curriculum scolastico per recepire la direttiva degli ufficiali dello SCAP secondo la quale la pratica delle arti marziali era ammissibile purché non fosse obbligata.

Due diverse arti marziali, lo Shōrinji kenpō e il Taihōjutsu, vennero alla luce rispettivamente nel 1947 e nel 1948, durante l’Occupazione americana. La seconda, in particolare, venne sintetizzata ad uso delle forze di polizia giapponesi, cioè di un organo dello Stato. Ciò significa che la pratica era riconosciuta e autorizzata dall’autorità dalla quale l’attività dello Stato Giapponese dipendeva, cioè lo SCAP.

Una proposta per la costituzione di una Federazione Nazionale di Judo venne sottoposta all’autorità dello SCAP nel 1948, il che significa che il Kōdōkan jūdō non solo non era proibito, ma era praticato a livello così capillare da richiedere un organismo coordinante. Inoltre, il fatto che tale proposta sia stata portata all’attenzione dello SCAP significa che era possibile farlo, cioè che non si trattava di un argomento illegale o passibile di censura. 

Alla luce di quanto sopra, l'idea che le arti marziali siano state proibite in Giappone nel dopoguerra dal generale MacArthur è semplicemente indifendibile. 


8 Letture di approfondimento

Una selezione di lavori precedenti per approfondire alcuni dei temi trattati nel presente studio:

Ueshiba Morihei e Aikido

Sviluppo del judo nell'epoca Meiji parte 1

Sviluppo del judo nell'epoca Meiji parte 2

Sviluppo del judo nell'epoca Meiji parte 3

Relazione con fra Kōdōkan jūdō e Dai Nippon Butokukai

Patriottismo (Kanō Jigorō)

 

Fino alla prossima volta

Acqua Autunnale

gasshō _/\_

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