15 PENSIERI (AUTENTICI) DI JIGORO KANO

 

Sul web proliferano "detti", "motti" e quant'altro variamente variamente attribuiti al Maestro Kanō, spesso senza motivo. 

Ecco 15 pensieri (autentici) di Jigoro Kano tradotti fedelmente dall'originale (Kanō Jigorō Taikei, volume 1). 

 

Conoscere il pensiero di Jigoro Kano


1- PERDERE CONFORMANDOSI AL METODO HA PIÙ VALORE CHE VINCERE TRASGREDENDOLO

Negli anni recenti, guardando gli incontri competitivi scolastici, viene spesso il dubbio che il fine nobile del jūdō sia stato dimenticato, e che esso venga forse confuso con la vittoria e la sconfitta immediate. Naturalmente, è ovvio che in un combattimento vincere sia un bene e perdere sia un male. Tuttavia, anche nella vittoria occorre vincere conformandosi al metodo, anche nella sconfitta occorre perdere conformandosi al metodo. Se si perde pur conformandosi al metodo nella sconfitta, ciò ha più valore che vincere trasgredendo al metodo. Il jūdō è da una parte addestramento al combattimento, ma è anche metodologia per temprare il proprio corpo che per addestrare l’educazione etica, e allo stesso tempo, oltre divenire forte in combattimento come risultato di questo addestramento, e deve portare al raggiungimento di altri fini oltre a questi.

(1922)

 

2- L'IMPORTANZA DI ADDESTRARE LA PROPRIA MENTE

Benché vi sia un gran numero di persone con un corpo dotato di un talento naturale e interesse per il movimento che studiano assiduamente la tecnica, non si può negare che vi siano talvolta persone indifferenti all’addestramento della propria mente e del proprio spirito. Poiché nella ricerca di conoscenza e abilità nel jūdō, se non si impiega particolare forza dell’addestramento della propria mente e del proprio spirito, questo aspetto tende ad essere tralasciato, non si può attendere di entrare naturalmente nella “via”, ma si deve avanzare volontariamente ponendo attenzione all’addestramento della propria mente.

(1925)

 

3 - APPLICARE IL METODO DEL JUDO A TUTTE LE COSE

È così anche all’interno del Kōdōkan jūdō. Il jūdō è profondo e vasto, ma non è qualcosa che tutte le persone debbano apprendere alla stessa maniera. Coloro che vogliono studiarlo come tecnica di combattimento è bene lo studino come tecnica di combattimento, coloro che pensano di studiarlo come educazione fisica si impegnino in quell’ambito. È bene indirizzarsi verso gli ambiti preferiti, addestramento mentale all’intelletto e all’etica, metodologia di vita quotidiana, studiare approfonditamente e mettere in pratica. Perciò, dal momento che il jūdō è un metodo universale che può governare qualunque cosa, benché sia diverso l’ambito a cui la gente attribuisce importanza, vorrei da coloro che si addestrano al jūdō che comprendessero il metodo chiamato jūdō e si addestrassero mentalmente per riuscire ad applicarlo per quanto possibile a tutte le cose. 

(1930)

 

4 - ABBANDONARE LE LOTTE NON NECESSARIE

Ciò che oggi rende lasso l’avanzamento della società è certamente la mancata osservanza dell’ “impiego più retto del proprio vigore”, ma in misura non piccola anche la mancata comprensione e la mancata applicazione del principio cardine “la mutua prosperità di sé e dell’altro”. Osservando la situazione pratica del mondo odierno, fino a che punto le persone lottano senza necessità e smorzano a vicenda il proprio vigore? Per chi danneggia qualcuno o gli provoca una disgrazia è come sputare verso il cielo, ritorna tutto su di sé. A chi aiuta qualcuno o lo rende felice, a maggior ragione qualcosa di buono torna indietro. Le persone, senza capire questa semplice teoria, senza posa lottano e sono in conflitto. La dottrina dell’ “impiego più retto del proprio vigore” e della “la mutua prosperità di sé e dell’altro” non afferma: combattete per ciò che si deve combattere e abbandonate ciò che deve essere discusso. Consiste in: abbandonate le lotte non necessarie e dannose. Si può pensare che nove decimi delle lotte di oggi si dovrebbero risolvere pacificamente se si affrontassero le cose avendo compreso questa logica

Spiegare la sostanza del Kōdōkan jūdō, includendo la metodologia di addestramento mentale per i membri del Kōdōkan e dell’Associazione Culturale

(1930)

 

5 - IL FINE DELL'EDUCAZIONE FISICA

Uno dei settori del jūdō è il bujutsu. Quando si guarda il jūdō come bujutsu, dove è possibile trovare qualcosa che lo superi? Nella nostra nazione, certamente, e nelle altre nazioni del mondo vi sono vari tipi di bujutsu. Tuttavia quasi tutti fanno uso di un tipo di arma, e non ne conosco altri che, come il jūdō, pur avendo come principio cardine il vincere in combattimento a mani nude, siano strutturati per usare qualsiasi arma in risposta alla necessità. Vi è un tipo di bujutsu, come la boxe occidentale o il kenpō cinese, nei quali si combatte senza usare arma alcuna, ma è indiscutibile che il jūdō sia utile per ottenere la vittoria in combattimento, poiché mentre usa il pugno, è in grado anche di usare anche la spada e il bastone. Io non ho affatto intenzione di sottovalutare il bujutsu che viene praticato convenzionalmente nel mondo. Riconosco che la boxe, il kenjutsu e il bōjutsu come aventi valore, ma credo che essi dimostrino per la prima volta il loro valore in qualità di settore del jūdō. Perciò penso che vada bene che le persone vedano anche i loro esercizi, ma deve essere enfatizzato che è sfavorevole studiare quelle cose da soli, senza studiare il jūdō. Quindi, in quanto al jūdō come educazione fisica, credo che debba essere la spina dorsale dell’educazione fisica mondiale. La ragione è questa: se si pone il fine dell’educazione fisica unicamente nel migliorare il proprio corpo, per il fine di migliorare il proprio corpo non vi può essere metodologia migliore del modo di impiegare più efficacemente la forza del proprio cuore e del proprio fisico. Se quel fine lo si pone non solo nel corpo, ma anche nell’addestramento mentale del proprio spirito, allo stesso modo non c’è metodologia più retta dell’impiegare più efficacemente la forza del proprio cuore e del proprio fisico

Sperare nell’unione armoniosa degli allievi trattando della missione del jūdō (1931)

 

6 - SPIEGARE LE TECNICHE RIFERENDOSI AI PRINCIPI CARDINE

Provando a offrire un esempio pratico dal periodo in cui ricevevo l’insegnamento del mio maestro, una volta il mio maestro mi applicò la tecnica che oggi si chiama sumigaeshi. Poiché non avevo capito come si applicava, domandai al maestro come l’avesse applicata. Al ché il maestro, senza dire niente, mi applicò per la seconda volta la stessa tecnica. A quel punto chiesi la spiegazione del modo, di come avesse fatto ad applicarla. Il maestro applicò la stessa tecnica un’altra volta. Gli dissi che invece di applicarla un’altra volta, gli chiedevo il favore spiegarmela dettagliatamente scomponendo come tirare con le braccia, come portare avanti la gamba, dove abbassare le natiche. Mi fu risposto: ma che ti è preso? Anche se mi chiedi queste cose, adesso non ti servono a niente. Si tratta di qualcosa che capirai man mano che la applichi tante volte e la eserciti nel keiko. Naturalmente coloro che erano degni di essere chiamati maestri in alcuni casi mi hanno spiegato e hanno risposto alle domande, ma non accadeva quasi mai che facessero dei commenti sulla base dei principi cardine, o che spiegassero scomponendo. Poiché nel Kōdōkan ci si esercita e si fa ricerca delle tecniche ponendosi come obiettivo il principio cardine alla radice del jūdō, impiegare con la massima efficacia possibile la forza del proprio cuore e del proprio fisico quando si compie qualcosa, per raggiungere quel fine, gli allievi non si limitano ad imitare le azioni del maestro e a fare esercizio senza capire il perché, ma fanno esercizio riflettendo sul modo, confrontandolo dettagliatamente con il principio cardine.

Per quale ragione si è giunti al fatto che tutti gli stili di jūjutsu del passato sono decaduti e solo il Kōdōkan jūdō oggi prospera (1933)

 

7 - LA PREMINENZA DEL COMBATTIMENTO IN PIEDI E L'IMPORTANZA DEGLI ATEMI

Per prima cosa, quando si chiede a quale fine ci si addestra nel randori, si deve dire che tramite quell’esercizio si rende il proprio corpo forte e sano e si studia la metodologia per il combattimento. Tuttavia, all’interno della metodologia di combattimento, si è giunti a fare sempre esercizio di proiettare, applicare uno strangolamento, applicare una leva o controllare a terra, senza impiegate i cosiddetti atemi, poiché l’esecuzione pratica di pugni, calci e affondi è pericolosa in randori. Qui risiede l’origine degli errori che sono nati. Dal momento che il randori è esercizio al combattimento, i colpi di pugno, i calci e gli affondi non si eseguono in pratica solo perché sono pericolosi, ma è naturale che si debba fare esercizio di come disporre il proprio fisico e il proprio cuore per rispondere quando l’avversario porta attacchi simili. Per questo gli allievi che hanno ricevuto l’insegnamento diretto da me, non trascurano l’esercizio al combattimento in katame, ma considerano il combattimento in piedi in shizentai come principale.

 La ragione per quale io ho intenzione di costituire l’Associazione del Kōdōkan per la Ricerca sul Randori (1935)

 

8 - IL FINE DELL' EDUCAZIONE FISICA

Per quanto riguarda l’educazione fisica non mi sforzerò di entrare qui nei particolari, ma parlando in generale in modo facilmente comprensibile, l’educazione fisica rende il corpo sano, rende il corpo forte, rende il corpo utile alla vita quotidiana dell’essere umano, e inoltre nel fare questo addestra mentalmente il proprio spirito. Questo è il fine dell’educazione fisica. Perciò, rendere forte è kyō , rendere sano è ken , rendere utile è . Nello svolgerla con il fine di kyō, ken, yō, addestrare mentalmente il proprio spirito il più possibile: questo è il fine dell’educazione fisica.      

L’essenza del jūdō (1935)

 

9 - BUSHIDO, BUDO E BUNBU NO DO

Non c’è dubbio che il bushidō sia una cosa buona e retta, ma si deve dire che è solo una fra le cose buone e rette.  Perciò, non va bene fare solo quello, senza fare nient’altro. Il jūdō non è solo la via del combattimento, è la via del combattimento e della cultura. Perciò se qualcuno mi chiede se faccio budō, rispondo che faccio anche budō, ma non faccio solamente budō, faccio bunbu no dō. Ancora, (se qualcuno mi chiede se, n.d.T.) rispetto il bushidō? Rispetto il bushidō, ma al tempo stesso vi sono anche altre cose che rispetto. Alcuni fra coloro che seguono il budō pensano che sia sufficiente fare budō, perché la cultura è compresa al suo interno, ma se è così è meglio non chiamarlo budō fin dal principio. Poiché dall’antichità si dice che combattimento e cultura sono interdipendenti come le ruote di un carro, è meglio chiamarlo bunbu no dō piuttosto che budō. Perciò, il budō è una cosa importante e degna di rispetto, ma non si può essere parziali verso di esso. Il jūdō è diverso dal budō nel senso che comprende tutto. Il budō ne fa parte.

L’essenza del jūdō (1935)

 

10 - IL BENE E IL MALE

Quindi, che cos’è “bene”? Ciò che aiuta la perpetuazione e l’avanzamento della vita collettiva è bene, ciò che lo ostacola è male. Ciò che tradizionalmente viene spiegato come fedeltà e amore filiale, fiducia e dovere, è bene perché è efficace nell’aiutare la vita collettiva della nostra nazione, ciò che gli si oppone è male. Inoltre, anche aiuto reciproco e cedere l’un l’altro, e la mutua prosperità di sé e dell’altro sono bene, perché tramite aiuto reciproco e cedere l’un l’altro e la mutua prosperità di sé e dell’altro vengono compiuti la perpetuazione e il progresso della vita collettiva e della vita sociale. Questo è il significato radicale del jūdō. Quando questo significato radicale si applica all’attacco e alla difesa si formano i kata e il randori. Quando lo si applica per migliorare il proprio corpo, diventa educazione fisica. Quando lo si applica per affinare l’intelletto e nutrire l’etica diviene metodologia di addestramento mentale all’intelletto e all’etica. Quando lo si applica alla pluralità di cose che le persone fanno in società, ai bisogni fondamentali, alle relazioni sociali, al lavoro, all’amministrazione, diventa metodologia per la vita sociale. Così, il jūdō odierno non si ferma al semplice esercizio di tecniche di combattimento all’interno del dōjō, essendo riconosciuto come appropriato quale principio guida per le mille cose che la gente fa in società

 Diveniamo chiaramente consapevoli della differenza fra jūjutsu e jūdō (1936)

 

11 - IL JUDO INSEGNA IL RISPETTO PER LA CASA IMPERIALE NELLA PRATICA

Il jūdō spiega la necessità di venerare la Casa Imperiale, enfatizza il dover difendere il kokutai, ma essi sono il risultato del principio del jūdō, non qualcosa che è stato legato alle tecniche di combattimento dall’esterno. Perciò coloro che interpretano le tecniche di combattimento del passato, coloro che hanno spiegato il bushidō, l’hanno spiegato legando alla tecnica una via in origine indipendente e separata. Come capisce chiunque provi a rifletterci, anche se per decine di anni ci si esercita nella tecnica con lo shinai, anche se si fa ricerca di tecniche di proiezione e controtecniche, da quell’esercizio e da quella ricerca non nascono l’etica né lo spirito di reverenza per il Sovrano. Dunque perché i bushi del passato erano abili nelle tecniche di combattimento e comprendevano anche il bushidō? Perché mentre si impadronivano delle tecniche di combattimento, contemporaneamente ricevevano quell’insegnamento in particolare. Questa logica è uguale anche oggi. Per quanto ci si eserciti nelle tecniche nel dōjō, oltre al coraggio e all’audacia, non si può sperare di ottenere se non quello che naturalmente viene nutrito accompagnandosi all’esercizio. Lo spirito di reverenza per il Sovrano, la lealtà, la decenza, se non vengono aggiunte a parte e insegnate, non sono possibili solo tramite l’esercizio alla tecnica

Annuncio a tutti gli allievi (1937)

 

12 - IL SIGNIFICATO DI JUDO

Quando ho iniziato a usare la parola jūdō nell’anno Meiji 15, non era con un significato simile a “cedere all’inizio per vincere dopo”. Il significato era: quale che sia il fine, se si intende raggiungerlo, si deve far lavorare la forza del proprio spirito e del proprio corpo nel modo più efficace per raggiungere quel fine, cioè l’impiego più efficace della forza del proprio cuore e del proprio fisico. Per dirlo cambiando le parole, l’attività più retta del proprio vigore, e per dirlo ancora più brevemente, l’impiego più retto del proprio vigore.

In merito al significato radicale del jūdō (1937)

 

13 - LA MISSIONE DEL JUDO

Recentemente nella nostra nazione è stata riconosciuta la necessità di ampliare gli armamenti, ed è stato stabilito un bilancio notevole. A questo scopo non si può fare a meno dell’aggravio fiscale e della raccolta (delle adesioni, n.d.T.) alle obbligazioni. Tuttavia, né l’aumento delle tasse né l’adesione alle obbligazioni posso essere continuate illimitatamente. Sono cose che diventano possibili se si aumentano gli introiti e (l’abitudine a, n.d.T.) fare economia del popolo, e se ne nutrono le facoltà in risposta ad essi. Tuttavia, fino ad oggi non si può pensare che si sia raggiunto un qualche piano sistematico e organico per potenziare la forza di ciascun individuo e aumentare la forza della nazione. Pertanto noi incoraggiamo l’applicazione del principio dell’impiego più retto del proprio vigore, che enfatizziamo sempre, in tutti (gli aspetti, n.d.T.) della vita sociale, per rispondere alle urgenze odierne. Questa è, in altre parole, la missione del jūdō.

In merito al significato radicale del jūdō (1937)

 

14 -  JUDO COME RISPOSTA ALLA CRISI INTERNA ED ESTERNA

Così, il risultato della nostra dottrina è, per ciascun individuo, un corpo sano e forte, una conoscenza e un’etica superiori, un’economia familiare florida, realizzare una società armoniosa, progredire la cultura, e stabilire uno stato dall’economia ricca e dai preparativi di guerra completi. In merito alle relazioni internazionali, se si prova a chiedersi perché sono comparse le circostanze insicure di oggi, da una parte la mancanza di armonia interna e la caduta della forza nazionale invitano il disprezzo dell’esterno, dall’altra parte si deve dire che è il risultato del fatto che il popolo non immagina le tendenze generali del mondo, inutilmente si concede alla xenofobia, odia gli stranieri, e non si impegna per l’armonia internazionale. Per salvare la nostra nazione dalle circostanze attuali, si rende questione urgente rettificare radicalmente l’atteggiamento anti-stranieri del popolo, e cercare l’armonia e la cooperazione con ciascun paese. In definitiva, questo non si può aspettarselo da alcuna altra via se non dal compimento della dottrina della mutua prosperità di sé e dell’altro.

La missione dell’Associazione Culturale del Kodokan e la speranza nei confronti dei membri dell’Associazione (1925)

 

15 - IL JUDO SI CONFORMA AL KOKUTAI

Questo principio del jūdō fornisce un principio radicale in grado di dare risposte eccezionali a qualsiasi domanda in qualunque situazione.  L’essere umano deve lavorare come singolo membro della società e inoltre per l’avanzamento e la continuazione della vita sociale. Questo è conformarsi bene all’etica tradizionale di rispettare il kokutai del Giappone e onorare la famiglia imperiale. In qualunque paese vi sono tradizioni proprie. La tradizione in certe epoche è particolarmente rispettata, in altre capita che sia trascurata. Ciò non può sfuggire alla differenza nei punti importanti dell’etica tradizionale in base alla tendenza dei tempi. Pertanto, l’etica deve essere contemporaneamente tradizionale e razionale. Volendo concentrare l’avanzamento e la prosecuzione della vita sociale di oggi, l’uso più retto del proprio vigore, la mutua prosperità di sé e dell’altro: in una nazione che ha una storia come quella del Giappone, difendere il kokutai e unire il popolo ponendo per quanto possibile la famiglia imperiale al centro dello Stato è razionale, è tradizionale e contemporaneamente lo può provare in pratica. Pertanto, il principio del jūdō si conforma al kokutai ed è adeguato al miglioramento e allo sviluppo della vita reale. 

Lo spirito radicale del  jūdō (1939)

 

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