L'influenza del Tenjinshin'yo ryu sul Kodokan judo - parte 1

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Questa è la prima parte della traduzione di una ricerca universitaria di Todo Yoshiaki e Murata Naoki in merito all’influenza del Tenjinshin’yoryu jujutsu sul Kōdōkan jūdō pubblicata sul Bollettino dell’Università di Tsukuba nel 1996.

 

 

Studio di Todo Yoshiaki e Murata Naoki sulla relazione tra il Tenjinshinyo ryu e il Kodokan judo

 

    Introduzione

Ciò che è interessante della ricerca sulle particolari caratteristiche culturali all’interno del budō è che viene chiarendosi la storia di diversi tipi di budō.

Come è risaputo, il Kōdōkan è stato fondato nel quindicesimo anno dell’era Meiji dal Maestro Kanō Jigorō dopo che questi ebbe in gioventù studiato e padroneggiato il Kitō ryū jūjutsu e il Tenjinshin’yō ryū jūjutsu. Si può dire, anche sulla base di questa sequenza di eventi, che la base del jūdō sia il jūjutsu sviluppatosi durante l’epoca Edo. Tuttavia,

 

“è agli atti che il Maestro Kanō studiò negli anni giovanili il Kitō ryū jūjutsu e il Tenjinshin’yō ryū jūjutsu, ma nutriva una speciale ammirazione per il Kitō ryū, lo spirito di quella scuola è stato ampiamente introdotto nel Kōdōkan”[1]

 

e in questo modo venne stabilito un profondo collegamento fra il Kitō ryū jūjutsu e il Kōdōkan jūdō.

 

Quale era dunque il collegamento con il Tenjinshin’yō ryū jūjutsu? Al di là dell’affermazione di Matsumoto che “alcuni anni dopo la fondazione del Kōdōkan vennero stabilite le tredici tecniche dello Shinken shōbu no kata[2]. Questo è kata venne sviluppato sulla base degli atemi distintivi dello Yōshin ryū e del Tenjinshin’yō ryū, e del sistema del Torinawa jutsu”, ad oggi non c’è pressoché alcuna ricerca che indaghi questo collegamento. Inoltre, fino ad oggi non era chiaro se nel Tenjinshin’yō ryū esistesse, oltre al kata, anche il randori (midare keiko).

 

Esamineremo qui la relazione fra Tenjinshin’yō ryū e Kōdōkan jūdō sulla base di tre punti.

 

  • Il primo: in cosa consisteva il kata del Tenjinshin’yō ryū e come è stato incluso nel Kōdōkan jūdō.
  • Il secondo: che cos’era il randori del Tenjinshin’yō ryū e come è stato inserito nel Kōdōkan jūdō.
  • Il terzo: qual era l’ideale del Tenjinshin’yō ryū e come è stato incluso nel Kōdōkan jūdō.

 

Come materiali della presente ricerca utilizzeremo il Tenjinshin’yō ryū jūjutsu gokui kyōju zukai[3] per l’analisi del jūjutsu, e per l’analisi della tecnica, oltre al testo succitato, il video dell’esecuzione del “kata” di Sakamoto (menkyō) e Kubota (menkyō kaiden), che ci è pervenuto grazie a Daigo Toshiro del Kōdōkan jūdō. Per il jūdō, facciamo riferimento principalmente al Jūdō ippan narabi ni sono kyōiku jō no hyōka[4], uscito nell’anno 22 dell’epoca Meiji, quando Kanō aveva 29 anni, e inoltre al Jūdō kyōhon. (INSERISCI LINK)

 

2      Il kata

Il Tenjinshin’yō ryū jūjutsu è stato elaborato dal maestro fondatore Iso Mataemon (1786 – 1864) dopo essersi addestrato nello Yōshin ryū e nello Shin’no shintō ryū. Fu l’ultimo jūjutsu in ordine di tempo a essere costituito durante il Bakumatsu[5]. I dettagli della sua fondazione sono che

 

“Si fermò per tre anni a Ōmi in corso di addestramento, insegnando il jūjutsu. Affrontò in due, con il suo allievo Nishimura cento Quattro persone malvagie, mettendole in fuga grazie alle tecniche segrete frutto di lunghi anni di addestramento e salvando delle vite. In questa occasione ebbe per la prima volta una grande rivelazione riguardo agli atemi […] il maestro Yanagi Kansai si impegnò nel combattimento reale per salvare delle vite, e compreso infine che non è possibile la vittoria senza un addestramento agli atemi autentici, si applicò all’acquisizione degli atemi autentici definì 124 tecniche sulla base di un accurate addestramento fisico e spirituale all’uso degli atemi.”

 

Si spiega quindi che Iso creò il proprio ryū dopo avere avvertito l’importanza degli atemi all’atto di cercare di salvare delle vite. Perciò “sul campo di battaglia è essenziale il kumiuchi, in tempo di pace bisogna dedicarsi agli atemi”. La caratteristica principale era l’impiego degli atemi non in armatura ma in abiti civili comuni. Le 124 tecniche solo classificate come segue:

 

  • 12 tecniche propedeutiche: onikobushi, furitoke, gyakute, gyakuyubi, kote gaeshi, ryōte dori, tendō, uchite etc.

  • 10 tecniche elementari da seduti: shin no kurai, sode guruma, tobichigai, nuketō mezuke, ryōte dori, ushiro dori etc.

  • 10 tecniche elementari in piedi: yukichigai, tsukikake, hikioroshi, tomoguruma, kinukatsugi, eri nage, ushiro dori etc.

  • 14 tecniche intermedie da seduti: shin no kurai, shikin dori, hidari munadori, sode guruma, sōsha dori, tsukadome, ryōte musubi etc.

  • 14 tecniche intermedie in piedi: yuikichigai, koshi tsuke, kote gaeshi, tsure byōshi, mawari komi, tsukake kudaki,

  • 20 tecniche di sutemi: shimoku, kari sute, kuchi sute, kuchiki taoshi, koshi guruma, yoko guruma, kogusoku, taguri, yahazu etc.

  • 24 tecniche di shiai ura: tre forme di shiai, tre forme di wakare kuzushi, tre forme di tsukikomi kuzushi, tre forme di hadaka tai kuzushi etc.

  • 10 tecniche avanzate in piedi: keri kaeshi, omokage, sugi taoshi, ōgoroshi, nami wake, tegate dori, tengu katsu etc.

  • 10 tecniche avanzate da seduti: ushiro kazukai, kata ha jime, yahazu, muniken, zanshin mitsuke etc.

 

Vi sono in totale 124 tecniche, e quasi tutte comprendevano azioni di atemi e gyakuwaza[6]. Tuttavia, il principiante iniziava l’addestramento dalle tecniche propedeutiche. Del perché si iniziasse dalle tecniche propedeutiche[7], si è scritto che 

 

“non si può sorvolare sul fatto che lo yawara si è sviluppato come tecniche ura, nel contesto della relazione omote-ura[8], del kenjutsu giapponese. All’inizio dello scontro il bushi faceva per snudare la spada. L’avversario gli controllava il polso per evitare che sguainasse. A questo punto, si rendeva necessario sapere quali tecniche impiegare con questo polso controllato dall’avversario[9]”,

 

cioè si rendeva necessario liberare il polso controllato tramite una tecnica. Quando il maestro giudicava che l’allievo avesse padroneggiato il kata, ne consentiva l’avanzamento ai gradi superiori. Ad esempio, nel Tenjinshin’yō ryū si saliva al grado elementare dopo aver padroneggiato le dodici tecniche propedeutiche. In questo modo si passava dal livello elementare a quello intermedio e avanzato, fino a raggiungere il menkyō kaiden. In merito a questo kata keiko, si è scritto che:

 

“malgrado vi siano regole precise stabilite nell’insegnamento di tutte le forme del nostro ryū, dalle tecniche propedeutiche fino alla fine, se si matura nella pratica, si considera buono raggiungere la condizione di muovere da mugamushin, con naturalezza, senza più regole. Benchè si insegni avendo regolato con esattezza l’inizio, quando si giunge agli insegnamenti superiori dopo essersi naturalmente affinati e migliorati, si diviene come una pietra preziosa”.

 

Cioè, all’inizio si segue fedelmente il kata del maestro, ma con la pratica costante si giunge a sviluppare la propria tecnica. A questo proposito nell’anno 10 dell’era Meiji Kanō entrò all’università di Tōkyō e contemporaneamente divenne allievo di Fukuda Hachinosuke di Tenjinshin’yō ryū. A vent’anni, quando morì Fukuda, entrò nel dōjō del maestro di terza generazione Iso Matachi e si impadronì di tutti gli aspetti del kata.

 

Vediamo ora la relazione fra il kata del Tenjinshin’yō ryū e del Kime no kata sviluppato da Kanō sulla base del Tenjinshin’yō ryū jūjutsu gokui kyōju zukai e del video del kata.

 

 


Kata del Tenjinshin’yō ryū

Kime no kata del jūdō

Ryōte dori

Quando ukemi afferra entrambi i polsi di torimi questi si alza in piedi, colpisce con il tallone destro e fa cadere il corpo di ukemi verso l’avanti.

Quando uke afferra entrambi i polsi di tori questi colpisce di calcio il punto mizuochi e conclude in migi waki gatame.

Ushiro dori

Quando ukemi abbraccia torimi da dietro questi afferra con la mano destra il bavero destro di ukemi, ne spazza la gamba sinistra con la mano sinistra e lo fa cadere proiettadolo verso l’avanti. Dopo essere stato proiettato uke cerca di colpire di pugno, ma torimi intercetta.

Quando uke abbraccia tori da dietro, tori proietta in avanti con hidari ippon seoi, quindi colpisce il punto tsurigane (l'area dello scroto).

Nome diverso ma esecuzione molto simile

Tobichigai

Torimi intercetta con il braccio destro il tantō con il quale ukemi affonda, colpisce con la mano destro il punto tokko di ukemi, quindi conclude con facedolo cadere piegato in avanti.

Tsukikomi

Tori colpisce di pugno il punto utō quando uke affonda con il tantō e conclude con waki gatame sull’articolazione del gomito destro di uke.

 (le parti sottolineate evidenziano le differenze)

 

Lo idori[10] è stato sviluppato come tecniche di difesa personale contro attacchi imprevisti quando ci si trovava all’interno di un castello o di un edificio nel periodo del jūjutsu. Kanō ha incluso otto tecniche di idori nel Kime no kata con lo scopo di trasmettere lo spirito del jūjutsu.

 

Paragonando le due tecniche, il ryōte dori l’azione con cui uke (o ukemi) afferra i polsi di tori è identica, e così anche per l’azione con cui uke abbraccia tori da dietro in ushiro dori. Vi sono tuttavia delle differenze nella conclusione di tori, o torimi, evidenziate dalle sottolineature. Inoltre, il tobichigai del Tenjinshin’yō ryū viene chiamato tsukikomi nel jūdō, ma il movimento di affondo col tantō di uke (ukemi) è pressoché identico. 

 

Il tachiai invece è definito come le tecniche di attacco reciproco dalla posizione eretta, e si trova sia nel kata del Tenjinshin’yō ryū che nel Kime no kata jūdō. Ecco un confronto fra i due.

 

In entrambi sono presenti tsukikake e ushiro dori in tachiai, con lo stesso nome e sostanzialmente con gli stessi dettagli, ma per quanto riguarda la tecnica del Kime vi sono delle differenze evidenziate dalla sottolineatura.

 

Inoltre, tecniche con l’uso del tantō sono visibili in entrambi, ma nel Tenjinshin’yō ryū essa viene chiamata kogusoku, si afferra la tsuka dell’avversario e si fa cadere l’avversario all’indietro. Al contrario, nel kirikomi del jūdō si conclude in waki gatame.

 

 


kata del Tenjinshin’yō ryū

Kime no kata del jūdō

Tsukikake

Torimi afferra il braccio di ukemi che cerca di colpire il punto suigetsu, quindi le pone il polso in orizzontale e proietta tramite kotegaeshi

Tori afferra il polso di uke che cerca di colpire il punto suigetsu e conclude con hadaka jime.

Ushiro dori

Quando ukemi lo abbraccia dal di dietro torimi colpisce all’indietro con la testa e proietta in avanti con migi ippon seoi. Ukemi colpisce dopo essere stato proiettato, ma torimi intercetta con il braccio destro.

Quando uke lo abbraccia dal di dietro tori proietta in avanti con migi ippon seoi, quindi colpisce la cavità utō di uke con il tegatana destro.


Kogusoku

Tsukikomi

Nome diverso ma esecuzione molto simile

Ukemi mena un fendente alla sommità della testa di torimi. Torimi porta avanti il braccio destro afferra la testa dell’impugnatura del kodachi di ukemi disarmandolo e fa cadere il corpo di ukemi verso l’indietro sinistra.

Uke mena un fendente con il tantō alla testa sommità della testa di tori. Tori afferra con entrambe le mani il polso di uke e conclude in waki gatame.

 (le parti sottolineate evidenziano le differenze)

 

Nel kata del Tenjinshin’yō ryū c’erano inoltre venti tecniche chiamate nagesute. Queste erano tecniche che il maestro fondatore aveva sviluppato tramite i propri sforzi, ma fino ad oggi non si erano comprese le loro reali caratteristiche. Tuttavia, grazie al video del kata che abbiamo ottenuto, è stato possibile vedere chiaramente i dettagli delle tecniche.

 

Si può dire pensare che l’ō soto gari e l’ude garami contenute in queste tecniche siano state incluse nelle tecniche di proiezione e di controllo del Kōdōkan jūdō. Tani otoshi, seoi nage, yoko sutemi waza esistevano anche nel Kitō ryū; quindi, si può pensare che il Kōdōkan jūdō abbia ricevuto l’influenza tanto del Kitō ryū che del Tenjinshin’yō ryū. Tuttavia, il seoi nage del Tenjinshin’yō ryū è una tecnica che si esegue quando ci si incontra rivolti l’uno verso l’altro, mentre nel Kitō ryū si esegue quando si viene abbracciati da dietro. In questo senso, si può pensare che il seoi nage del Tenjinshin’yō ryū abbia esercitato una influenza più diretta sul seoi nage del Kōdōkan jūdō. 

 

Dal punto di vista del rapporto fra chi applica la tecnica e a chi viene applicata, torimi era definito come colui al quale all’inizio viene applicata una tecnica, ma che alla fine conclude applicandone una a sua volta. Al contrario, chi la applica all’inizio, per poi subirla in seguito veniva chiamato ukemi. Ad esempio, in merito nell’ushiro dori del jūjutsu si trova scritto che

 

ukemi punta il ginocchio sinistro e solleva il ginocchio destro dietro a dove torimi che è seduto e circonda torimi con entrambe le braccia da sopra le braccia di questi. A questo punto torimi colpisce leggermente all’indietro con la testa, punta il ginocchio destro, fa un passo aprendo con la gamba sinistra, solleva il braccio destro e prende il bavero destro di ukemi, spazza sollevando la gamba sinistra di ukemi con la propria mano sinistra e lo proietta in avanti. Dimostra zanshin come nella tecnica precedente.” 

 

perciò chi all’inizio applica una tecnica ma alla fine è sconfitto dall’applicazione di una tecnica è detto ukemi, chi invece ottiene la vittoria tramite l’applicazione di una tecnica è detto torimi. La stessa relazione si trova importata nel Kime no kata del Kōdōkan jūdō, in cui il ruolo di torimi è ribattezzato tori, ukemi è ribattezzato uke, e il ruolo di uke è di applicare una tecnica all’inizio ma di venire sconfitto alla fine dall’applicazione di una tecnica.

Si può quindi dire che anche tramite il rapporto che intercorre nei kata fra torimi e tori, ukemi e uke, la relazione fra Tenjinshin’yō ryū e Kime no kata del jūdō sia notevolmente profonda.

 

Traduzione e note al testo a cura di Emanuele Bertolani

 

Tutti diritti sul testo originale sono riservati al leggittimo proprietario.

 

Continua a leggere:

Parte 2

Il kime no kata non è il kata della Decisione

 

 


 

[1] SAKURABA, Takeshi: Jūdō yōgi, Tōkyō 1940.

[2] 真剣勝負の形. Il kata del combattimento reale. La prima denominazione del Kime no kata.

[3] Manuale di Tenjinshin’yō ryū edito a Tōkyō nel 1893.

[4] Il Jūdō e il suo valore dal punto di vista educativo

[5] 幕末 Periodo finale del governo shogunale della famiglia Tokugawa. Corrisponde al periodo che va dal 1853 al 1868

[6] 逆技 gyaku (pronuncia: ghiacu) significa rovescio o contrario. Indica l’applicazione di una leva articolare tramite rovesciamento dell’arto.

[7] 手解 te significa “braccio” o “mano”, ma nel gergo delle arti di combattimento giapponesi è equivalente a “tecnica”. significa “sciogliere, slegare” o anche “liberare”. Le tecniche propedeutiche sono dunque quelle nelle quali si impara a liberare le mani.

[8] 表裏 letteralmente fronte e retro. Nel contesto delle arti di combattimento giapponesi, omote si riferisce alla forma ideale della tecnica presente nel kata, ura alla sua concreta realizzazione in combattimento.

[9] WATANABE, Masashi: Kakutō shinsho, Tōkyō 1991

[10] 居捕 letteralmente "sedersi" e "prendere", è la designazione generale delle tecniche di combattimente eseguite a partire dalla posizione seduta. 

 

 

Commenti

  1. Leggendo le vostre traduzioni e commenti relative alla parola “JU” vorrei fare un collegamento logico con ciò che sembra (dico sembra, perché le traduzioni da me lette potrebbero essere sbagliate) essere il “separare in due” di “Happo no kuzushi”.

    La parola “Ju” indica, a mio avviso” un aspetto dell'energia KI di cui è costituito l'universo. La fisica moderna ci dice pressapoco che l'universo è costituito da energia. In oriente hanno intuito l'esistenza dell'energia attraverso l'osservazione della natura e le hanno dato il nome “CHI”.

    La scienza moderna ci dice, in sostanza, che l'energia si conserva, può trasformarsi e trasferirsi.

    In oriente all'epoca della fondazione delle scuole di ju jutsu, questo fatto era già conosciuto, ma il KI del ju jutsu è un'energia naturale che esiste nell'uomo solo se non interviene l'ego. Perciò, secondo me, quando si parla di “cuore” s'intende la mente pura senza sovrastruttura.

    Se si osserva cosa accade quando si prova a spingere una barca che galleggia sull'acqua, prima di tutto s'incontra la struttura viva della barca che tende a mantenere, per natura (senza volontà) la sua forma, questo fenomeno in cinese si dice “PENG” (sono lì, sono io), all'istante la barca assorbe l'energia e si muove per effetto di essa (non perché lo vuole), questo in cinese è “LU”, affonda un poco nell'acqua e ruota, poi ha un movimento verso l'alto sempre ruotando, (in questa fase avviene secondo me la trasformazione dell'energia), poi scende ruotando, questo viene chiamato “JI”, infine risale nuovamente mischiandosi con il resto dell'energia intorno, questo è HAN.

    L'acqua è l'universo e la barca è l'uomo. PENG è la forma dell'uomo, LU è JU o JIN, JI è GO o YANG, KI è ciò che muove.
    Ciò che distingue la barca dall'uomo è l'intenzione pura (YI) che è creatrice. La creatività però, come mi pare dicesse il maestro Mifune, deve conformarsi alla natura affinché il ki produca il movimento.

    Quando ciò non accade è l'ego a prendere l'iniziativa e a muovere il corpo, in questo caso il KI si trasforma in forza, cioè contrasto, opposizione, blocco.

    Nell'interazione fra individui, vi può essere KI o forza. Per esserci JU vi deve essere KI, poi il JU cambia e diventa Yang, sia JU che YANG possono costituire movimenti creativi.

    E' chiaro che la mia è un'interpretazione personale.

    Per esempio in uki otoshi, “Tori” porta una gamba indietro, ma senza tirare, se tira c'è forza, perché ad ogni forza ne corrisponde una uguale e contraria, quindi anche “Uke” sarebbe costretto a tirare. In questo caso ci sarebbe una separazione che impedirebbe l'inizio di uki otoshi.

    All'inizio ci sono due forme: Tori e Uke.

    Se c'è armonia fra Tori e lui, la forma è una sola, cioè c'è WA.

    Come avviene l'unione delle energie (WA) è dovuto all'unità in Tori fra intenzione e corpo (o fra mente e corpo) oppure alla capacità di Tori di affinare il processo: l'intenzione muove l'energia che muove il corpo.

    Ciò che avviene è il movimento per mezzo dell'intenzione di Tori, Uke perde la sua intenzione, per questo lui non può produrre forza né distaccarsi da Tori prima della proiezione.

    Mentre Tori affonda gira, poi l'energia ritorna su. Nel corpo si sente il passaggio del peso/energia da un lato all'altro del corpo. Uke è proiettato durante JU o LU, nell'istante della proiezione le forme tornano ad essere due, cioè c'è una “separazione” poi avviene JI e poi HAN (dopo non c'è più intenzione, solo energia).

    In sumi otoshi, invece, la proiezione avviene durante JI (o GO), cioè quando l’energia muove verso il basso dopo che, per effetto di LU, ha mosso Uke e Tori verso l’alto.

    Questo yin e yang vale per tutte le tecniche di Judo Kodokan.

    Il ragionamento esposto sopra è tratto dalla mia esperienza e studio nel judo kodokan, nel ju jutsu e nel tai chi.

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  2. Buongiorno e un ringraziamento per tutte le interessantissime traduzioni e i commenti.
    Vorrei esprimere il mio pensiero sull'argomento "kuzushi", in relazione a quanto da voi tradotto e non solo, nella speranza di ottenere da parte vostra la pazienza di qualche ulteriore sollecitazione culturale sul tema. Perdonerete, spero, qualche errore interpretativo da parte mia.

    Preliminarmente osservo che "Happo no kuzushi" letteralmente sarebbe come dire "otto direzioni del rompere (o spezzare o separare in due)" oppure, tenendo conto dei modi di dire giapponesi, la traduzione più probabile sarebbe “tutte le direzioni del separare in due”.
    Naturalmente il titolo dato ad un argomento non sostituisce l'argomento medesimo, né si può dire esserne la spiegazione, ma mi sembra inequivocabile che la parola "equilibrio" in "happo no kuzushi" non compaia, né compaia quella di “squilibrio” o “disequilibrio” che dir si voglia.

    Finite le osservazioni, passo al commento.

    Mi sembra strano pensare che Jigoro Kano laddove spiega “Happo no kuzushi”, si riferisca ad una rottura di equilibrio, per due motivi: il primo è che nel titolo dell'argomento quella parola non c'è, il secondo è che lo squilibrio esiste non appena ci si muove e questo c'è lo dice la fisica moderna che senz'altro Kano conosceva, almeno nei suoi elementi base.
    Per logica, dovremmo pensare che Kano volesse indicare che esistevano infinite direzioni per muovere Uke, il che è ovvio.

    Rompere l'equilibrio di un corpo vuol dire “farlo muovere”, quindi lo squilibrio non può essere che il movimento del corpo, poiché non appena si ferma è di nuovo in equilibrio. La posizione del corpo ha quindi a che fare con la possibilità di essere squilibrato (mosso) con più o meno facilità, ma non determina se un corpo è in equilibrio oppure se è squilibrato.

    Perciò “Happo no kuzushi” ben difficilmente si riferisce ad un metodo per squilibrare (o rompere o distruggere l'equilibrio).

    L’interpretazione che la “rottura” si riferisca alla posizione, appare anch’essa non pertinente. Vi sono posizioni di transizione assunte da Tori nelle tecniche eseguite da tori che potrebbero sembrare posizioni “rotte”, se tenute da uke prima di una proiezione. In altre parole una posizione non determina una difficoltà di muoversi se non nel caso si perda la connessione fra le varie parti del corpo, ma questo significherebbe storcere uke in qualche modo. Diversamente potremmo intendere “rotta” una posizione con i piedi che non toccano terra, ma in questo caso il corpo sarebbe già staccato dal suolo.

    La posizione “rotta” o “squilibrata” non esistono.

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  3. Buongiorno sig. Benzi,
    grazie di avere voluto metterci a parte del Suo pensiero. Devo però correggerla sul giapponese: dal momento che l'aggettivo precede il nome, in "happou no kuzushi 八方の崩し" happou è il modificatore del nome, mentre kuzushi è il soggetto. Dunque, il significato è "kuzushi nelle otto direzioni", laddove otto, come specificato nell'articolo relativo, è una metafora per una quantità indefinita. In questo senso, ha ragione nell'affermare che le direzioni di squilibrio sono potenzialmente infinite.
    Inoltre, c'è una differenza sostanziale fra i verbi kusuzu崩す e kowasu壊す. E' quest'ultimo, non kuzusu, a significare "rompere, spezzare". Kuzusu, come troverà descritto nello studio dell'etimologia del carattere, ha a che fare con lo sbilanciare qualcosa, nel senso di portarla da una posizione stabile a una posizione instabile. Kuzushi崩し è usato in questo senso specifico in tutti i documenti del Kito ryu, il che significa che bisogna considerarne primariamente l'accezione relativa al suo valore nel contesto delle arti di combattimento.
    Se, come afferma Lei, il discorso equilibrio / squilibrio si riducesse al semplice moto, il modo più sicuro di combattere sarebbe non muoversi. In realtà, se legge i documenti del Kito ryu, vi si trova una lunga trattazione del concetto di hontai 本体, inteso come il mantenimento di una corretta posizione eretta in combattimento, che permette la massima libertà di azione e reazione. Il kusushi fa riferimento a questo: mettere l'avversario in condizione di non poter più muoversi o reagire liberamente. Se ci pensa, la dimostrazione di happou no kuzushi si svolge proprio con uke in shinzen hontai自然本体 e tori che lo porta da shizen hontai a una posizione di squilibrio.

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