L'influenza del Tenjinshin'yo ryu jujutsu sul Kodokan judo - Seconda Parte
Questa è la seconda parte della traduzione di una ricerca universitaria di Todo Yoshiaki e Murata Naoki in merito all’influenza del Tenjinshin’yoryu jujutsu sul Kōdōkan jūdō pubblicata sul Bollettino dell’Università di Tsukuba nel 1996.
3 A proposito del randori
Come si è visto nel capitolo 1, le tecniche del Tenjinshin’yō ryū erano basate sugli atemi o sui gyaku waza, e il modo di praticarle era principalmente attraverso il kata. Tuttavia, se si osserva bene il Tenjinshin’yō ryū jūjutsu kyōshū zukai, dopo le 124 tecniche da kata si trova una breve sezione “randori”, e in essa sono registrate 15 tecniche di randori. Classificando ogni tecnica secondo la parte del corpo usata prevalentemente si ottiene:
- Tecniche di braccia (tewaza) : kotehiki, seoi nage
- Tecniche di anca (koshi waza) : harai goshi, koshi waza, koshi waza no irikake, koshi waza no kegero. Mata harai.
- Tecniche di gamba (ashi waza) : sukui ashi, ashibarai
- Tecniche di sacrificio (sutemi waza) : sutemi dori
- Shime waza ( tecniche compressione) : dō jime. Hadaka jime. Shime komi. Tsuyomi jime.
- Kansetsu waza (tecniche di leva articolare) : ude hiki (ude hishigi jūji gatame)
Questo equivale a dire che all’epoca esisteva il randori. Per corroborare questa affermazione, Kanō scrisse, in merito alla sostanza del keiko del suo maestro di Tenjinshin’yō ryū Fukuda Hachinosuke:
“Sono stato proiettato molte volte dal maestro con molte tecniche diverse. Io mi rialzavo immediatamente, e quando chiedevo come avesse usato le braccia per quella proiezione il maestro rispondeva ‘vieni qua’, e proiettava di nuovo senza preavviso. Al che senza perdermi d’animo io mi rialzavo e insistevo nel chiedere come avesse usato le braccia e le gambe. Allora il maestro diceva ‘vieni qua’ e mi proiettava di nuovo. Io ripetevo le mie domande per la terza volta. Allora il maestro diceva ‘perché insisti a chiedere queste cose, come se così facendo potessi capire. Basta che tu ripeta la tecnica molte e volte e ti verrà. Avanti, vieni qui’, e mi proiettava di nuovo. In questa maniera, l’addestramento consisteva nel comprendere le cose attraverso il corpo. Riflettendoci oggi, penso che quella tecnica fosse sumi gaeshi”.
Si può quindi immaginare che nelle tecniche di proiezione vi fosse l’attaco-difesa.
Osserviamo la relazione fra le tecniche di randori del Tenjinshin’yō ryū e del Kōdōkan jūdō (compreso il gokyō) attraverso il confronto dei loro nomi.
Tecniche di randori del Tenjinshin’yō ryū jūjutsu |
Tecniche paragonabili nel Kōdōkan jūdō |
Kotegaeshi Seoi nage Harai goshi Koshi nage Koshi ire no kegero Mata harai Sukui ashi Ashibarai Sutemi dori Dō jime Hadaka jime Shimekomi Tsuyomi jime Ude hiki Koshi nage no irikake |
Soto makikomi Seoi nage Harai goshi[13] Ō goshi Tsuri goshi / ko soto gari Ō soto otoshi Ko soto gake Ō soto gari Tomoe nage Esisteva fino al 1927 Hadaka jime Shimekomi dori Tsukkomi jime Ude hishigi jūji gatame ? |
Si può dire così che le tecniche di randori del Tenjinshin’yō ryū jūjutsu abbiano esercitato una notevole influenza sulle tecniche di randori del Kōdōkan jūdō.
Tuttavia, il keikogi dell’epoca del jūjutsu era corto abbastanza da lasciare scoperti gomiti e ginocchia, tanto che se ne scriveva che
“Il keikogi di allora, a differenza di adesso, arrivava sotto all’inforcatuta delle gambe e sopra aveva delle maniche larghe; perciò, gomiti e ginocchia erano sempre così spellati che non c’era medicamento che tenesse[14]”.
Perciò il keikogi era corto sia sotto che sopra. Per questa ragione la presa hikite che agisce sulla manica non era efficae, e le tecniche erano limitate a quelle dove il corpo deve aderire, come le tecniche di anca, di gamba o l’ippon seoi. Per questa ragione quando Kanō fondò il Kōdōkan jūdō allungò le maniche e nell’anno 40 dell’epoca Meiji fissò la lunghezza dei pantaloni a tre sun sotto il ginocchio. Per questa ragione nel jūdō si poterono utilizzare con profitto le maniche della casacca e tecniche come tai otoshi e seoi nage vennero in auge.
Il Tenjinshin’yō ryū jūjutsu kyōshū zukai riporta, circa la disposizione d’animo[15] al momento del randori,
“Durante il keiko è indesiderabile usare troppa forza. Se una persona dotata di forza fisica e una persona sprovvista di forza fisica raggiungono la stessa maestria nella tecnica, è difficile avere il sopravvento sulla persona dotata di forza fisica. Tuttavia, se si usa la forza senza essere veramente maturati nella tecnica, il proprio corpo, braccia e gambe, si contrae e si irrigidisce, diventando simile a una cosa morta. Perciò, volendo parlare della differenza fra l’impiego del ki e l’impiego della tecnica, l’impiego del ki consiste nel mantenersi leggeri e flessibili, mentre avere lo shinki[16] disperso e avere movimenti rigidi e pesanti, cioè l’impiego della sola forza, è profondamente indesiderabile”
Cioè, spiega che l’impiego del ki consiste nell’impegnarsi ad eseguire le tecniche con leggerezza e flessibilità, perché il solo uso della forza senza aver raggiunto la maturazione della tecnica è indesiderabile.
Questa disposizione d’animo è descritta anche nel Chi no maki del Kitō ryū:
“impiegare la forza quando non si è raggiunta la maturazione tecnica è detto ‘sforzarsi’. La differenza fra l’impiego del ki e l’impiego della forza è che l’impiego del ki consiste nell’essere leggero e flessibile e nel non avere preferenze[17]”
Quindi, la spiegazione è identica. Si può quindi dire che il Tenjinshin’yō ryū e il Kitō ryū fossero vicini all’insegnamento del jūdō odierno di ricercare una azione flessibile e indipendente evitando l’uso esclusivo della forza.
In merito alla postura, si legge che
“quando si osserva il nemico bisogna per prima cosa porre attenzione a ciò che tiene nella propria mano dominante. Benché sia essenziale fare attenzione allo sguardo del nemico, quando l’avversario non si muove non si può fare affidamento solo su ciò che si vede. Perciò occorre mantenere il proprio corpo nella posizione giusta. Inoltre, quando si affronta il nemico non bisogna mai sottovalutarlo, ma solo portare il proprio ki alla pienezza[18]”
Cioè, a essere considerato di estrema importanza non era l’affrontare il nemico con la sola forza bruta, ma mantenere la postura che permetta di diffondere un ki potente in tutto il corpo.
Questa postura, cioè shizen tai, è quella che
“è basilare nelle tecniche di proiezione. Sia dal punto di vista fisico che spirituale, è quella con cui è più facile cambiare ed è più facile agire, pertanto è una posizione potente e sicura. Per definirla con una sola espressione, shizentai è lo stare naturalmente in piedi senza sentimenti particolari.”
Quindi si può dire che si colleghi allo shizentai del jūdō. Inoltre, in quanto alle proiezioni,
“anche quando si proietta qualcuno si deve mantenere la corretta postura. Quando si afferra il braccio sinistro occorre fare attenzione alla gamba destra, quando si proietta con la gamba destra occorre fare attenzione alla sinistra. Inoltre, quando si affronta l’avversario occorre avanzare direttamente e attaccare negli angoli dell’avversario. Se la forma del corpo dell’essere umano avesse degli spigoli, bisognerebbe addestrarsi accuratamente a proiettare in quelle direzioni[19]”
Cioè, spiega di squilibrare l’avversario verso gli angoli e di proiettarlo. Si può dire quindi che si avvicini all’insegnamento di proiettare dopo aver squilibrato del jūdō successivo. Quindi malgrado l’affermazione che il Maestro Kanō studiò negli anni giovanili il Kitō ryū jūjutsu e il Tenjinshin’yō ryū jūjutsu, ma nutriva una speciale ammirazione per il Kitō ryū, lo spirito di quella scuola è stato ampiamente introdotto nel Kōdōkan, si può dire assodato che anche nel Tenjinshin’yō ryū jūjutsu. Si può inoltre dire che il Tenjinshin’yō ryū jūjutsu ha esercitato una forte influenza sul Kōdōkan jūdō per via del fatto che le quindici tecniche del randori waza sono estremamente simili alle tecniche del Kōdōkan jūdō gokyō.
4 In merito all’ideale
Dopo avere discusso la loro relazione a livello tecnico nei primi due capitoli, proviamo nel terzo a esaminare, dal punto di vista dell’ideale, quale disposizione d’animo fosse necessaria al momento del keiko e in quale misura il jūdō e il jūjutsu mirano alla formazione dell’essere umano.
Per prima cosa, il Tenjinshin’yō ryū jūjutsu. In merito alla disposizione d’animo necessaria all’atto dell’ingresso come allievo, il Jūjutsu sokuji riporta quanto segue:
- Non è concesso rivelare informazioni su questo ryū neppure ai propri genitori o ai propri fratelli.
- Non è consentito ingaggiare scontri con altri ryū prima di avere ricevuto la trasmissione completa degli insegnamenti.
- Non è consentito disprezzare il proprio maestro e abbandonare l’addestramento incompiuto
- Non è consentito agire contro i valori ed è indispensabile attenere il proprio comportamento alla cautela.
Allo stesso modo, nello Hōkoku kitei kiseiji si legge:
- Non è concetto contravvenire alla legge e agli ordini militari
- Non è concesso non rispettare le virtù chūkōshingi né metterle in discussione negli acquartieramenti.
- È rigidamente proibito introdurre donne negli acquartieramenti, consumare alcolici o tenervi feste.
- Non è consentito agire contro i valori ed è indispensabile attenere il proprio comportamento alla cautela
In che modo lo spirito dell’allievo principiante di jūjutsu è stato trasportato nel Kōdōkan Jūdō?
Secondo il Kōdōkan nyūmon kisoku oyobi shugyōsha kokorogamae (Meiji 27):
Tutti gli allievi portano profondo rispetto ai maestri istruttori. I più esperti guidano con cura i meno esperti, i meno esperti seguono diligentemente le istruzioni dei più esperti.
- Non è concesso entrare nel dōjō in abiti civili.
- Non è concesso entrare nel dōjō dopo aver consumato alcol.
- Non è concesso spogliarsi o fumare all’aperto
Vi erano quindi numerose regole, come il divieto di fumare, consumare alcolici, lo stile di abbigliamento, che concernevano la disposizione corretta per ricevere l’istruzione e l’etichetta da osservare all’interno del dōjō. Qui, anche se vi sono delle differenze fra jūjutsu e jūdō, vi è il punto in comune, quando ancora non si è maturati, di non detestare il proprio maestro, osservare le maniere corrette e formare l’essere umano.
Tuttavia, poiché il jūjutsu adottava il principio della segretezza, si spiegano il mantenimento del segreto e il divieto di intraprendere combattimenti con altri ryū, e si può anche dire vi fosse un fortissimo carattere feudale nell’idea della protezione della nazione del Bakufu Tokugawa e nella fedeltà allo han[20] come obiettivi dell’addestramento al jūjutsu. Rispetto a questo l’obbiettivo del Kōdōkan jūdō era formare persone che possedendo “educazione fisica e addestramento del kokoro”, fossero membri distinti di una moderna nazione.
Nell’indice del Jūjutsu gokui kyōju zukai sono elencati quindici capitoli:
Capitolo Primo - Le origini del jūjutsu giapponese
Capitolo Secondo - Le origini del Tenjinshin`yōryū
Capitolo Terzo - Biografia sintetica del fondatore dello Shin’yōryū
Capitolo Quarto - L’attitudine necessaria al raggiungimento dell’eccellenza nelle arti
Capitolo Quinto - Il principio del jūjutsu
Capitolo Sesto - Il significato dei kata e la teoria della forza
Capitolo Settimo - La spiegazione dello shin no kurai
Capitolo Ottavo - La ragione percui il flessibile ha la meglio sul rigido
Capitolo Nove - L’importanza dell’insegnamento dei kata
Capitolo decimo - Spiegazione di ki e tai
Capitolo undicesimo - Differenziazione di shi, ki e ryoku
Capitolo dodicesimo - Portare il ki alla pienezza.
Capitolo tredicesimo - Il significato di kurai
Capitolo quattordicesimo - La spiegazione di fudōshin
Capitolo quindicesimo - La spiegazione di mugamushin
All’interno di questi ve ne sono cinque che riguardano la sfera mentale e spirituale: Spiegazione di ki e tai, Differenziazione di shi, ki e chikara, La spiegazione di fudōshin, La spiegazione di mugamushin.
Questi cinque capitoli parlano della disposizione d’animo al momento di addestrarsi e all’atto di scendere sul campo di battaglia. Ad esempio, in merito all’unione di shin, ki e ryoku:
“È estremamente difficile separare e spiegare questi tre elementi di shi, ki, ryoku[21]. Volendo tentare di suddividerli, supponiamo che vi sia qualcosa davanti a sé. In seguito all’insorgere dello shi di afferrare l’oggetto, che cosa si muove in avanti prima della mano? Questo è il ki, che si trasmette alla mano a seguito dello shi. Perciò il maneggiare quell’oggetto ha origine dalla forza che si concentra nella mano a seguito del ki. Assumendo come regola stabile che quando si dimostra la forza si concentra il ki, quando si dimostra il ki si concentra la forza, non esiste dualismo fra il ki e il ryoku. Stando così le cose, i danni sono enormi per coloro che, affermando la separazione di questi concetti, applicano le tecniche mettendo la forza prima di tutto. Occorre lasciare da parte la forza e ambire alla destrezza nell’impiego del ki. Se si raggiunge la maestria della tecnica, agire e rispondere alla tecnica utilizzando la forza della quale ciascuno dispone naturalmente, senza fare affidamento su insegnamenti fissi, diviene semplice e chiaro. Questa è l’eccezionalità dell’unione e del non-dualismo di shi, ki, ryoku.”
In altre parole, quando si fa per eseguire una tecnica l’unione di shi, ki e ryoku è indispensabile.
Come è stato trasferito questo pensiero nel Kōdōkan jūdō? Nel Jūdōkai si legge che
“Il concetto di shinkiryoku icchi[22] è considerato di estrema importanza nell’addestramento fin dagli albori del jūdō. Si chiama anche shikiryoku icchi[23], oppure nel kendō viene chiamato kikentai[24] o anche shinkeitō no icchi[25], tuttavia sono tutti lo stesso insegnamento. Un volta compreso il suki[26] dell’avversario, agire con l’intenzione di sfruttarlo e applicare immediatamente una tecnica senza il minimo ritardo”.
Perciò si può dire che le espressioni utilizzate shinkiryoku icchi e shikiryoku icchi siano la trasmissione dell’insegnamento del significato di shikiryoku icchi dell’epoca del jūjutsu.
Nel Tenjinshin’yōryū vi erano molti esercizi che partivano dal presupposto di dover usare gli atemi o la spada corta in combattimento reale, perciò si dava grande importanza al concetto di fudōshin.
“Fudōshin è detto il non muovere il proprio kokoro a prescindere da qualunque cambiamento. Rasserenare il cuore, portare il ki alla pienezza e farlo scorrere in tutto il corpo, pur avendo una spada sguainata davanti agli occhi fare come se non la si vedesse, pur sentendo nelle orecchie il suono di un cannone fare come se il kokoro non lo sentisse, un kokoro che non si sorprende né si muove di fronte ad alcunchè è detto un robusto fudōshin. Con il kokoro in questa condizione utilizzare il proprio corpo, applicare una tecnica imprevedibile, non stupirsi né spaventarsi affatto neppure quando si incontra un avversario poderoso, questo è chiamato l’autentico fudōshin. Pertanto, quando diventa normale, mentre si sta vivendo, fare come se si stesse per morire e affrontarsi in combattimento armato sentendo il suono delle lame o il rombo del cannone, si realizza di conseguenza anche l’addestramento del proprio kokoro. A quel punto, a maggior ragione, coloro che si recano nei campi, in montagna, in luoghi senza segni di presenza umana, e si addestrano avendo come scopo principale il non far muovere il proprio kokoro, devono dirigere i loro sforzi verso l’autentico fudōshin. Oggigiorno fra coloro che si addestrano sono in molti a possedere unicamente l’arte delle gambe e delle braccia, ma mancano della tecnica del kokoro; perciò, occorre riflettere bene su questo punto e cercare in ogni modo di fare dell’addestramento volto al fudōshin il proprio addestramento principale”.
Insegna cioè a far circolare il ki in tutto il corpo, a rinforzare l’addome e a cresce un cuore che non si lascia confondere dalle cose. Questo concetto di fudōshin è vantaggioso anche per il Kōdōkan jūdō, nato con scopi educativi, all’atto dell’attacco-difesa, e viene spiegato come la calma disposizione d’animo necessaria per il randori e lo shiai del jūdō.
“La capacità di schivare e dominare l’avversario deriva, una volta sotto attacco, dal gestire la situazione con un atteggiamento calmo, senza scomporsi nè irrigidirsi”.
Anche dal punto di vista spirituale, si può dire che la disposizione d’animo del jūjusu per affrontare il combattimento sul campo di battaglia sia in gran parte passata nel jūdō, avvicinatosi allo sport tramite il randori e lo shiai.
Conclusioni
1 Il kata del Tenjinshin’yō ryū ha esercitato una grande influenza sul Kime no kata del Kōdōkan jūdō, il quale comprende una ricca varietà di atemi e tecniche di leva articolare. In particolare, nella sezione idori, il ryōte dori e l’ushiro dori del Tenjinshin’yō ryū sono stati inseriti con lo stesso nome nel Kime no kata. L’azione di uke è la stessa, ma l’azione con cui tori conclude è diversa.
Inoltre, anche se i nomi sono diversi, il tobichigai del jūjutsu e lo tsukikomi del Kime no kata sono identici. Anche nel tachiai lo tsukikake e l’ushiro dori del jūjutsu vengono usati con lo stesso nome e con grandissime somiglianze anche nel Kime no kata. La relazione fra coloro che eseguono la dimostrazione del kata di jūjutsu è chiamata torimi e ukemi, che è passata nel Kime no kata come tori e uke, dove tori è colui che ruota adattando il corpo in risposta all’attacco di tori e conclude vittorisamente con l’applicazione di una tecnica.
Inoltre, nel Tenjinshin’yō ryū vi sono venti tecniche di nagesute, all’interno delle quali si trovano le forme originali delle tecniche ō soto gari, tani otoshi, seoi nage, yoko sutemi waza. Si può pensare che queste abbiano influenzato le tecniche di proiezione del Kōdōkan.
2 Nel Tenjinshin’yō ryū jūjutsu vi erano quindici tecniche di randori. Di queste dieci riguardavano tecniche di proiezione, quattro riguardavano tecniche di strangolamento e una di leva articolare. All’interno di queste vi sono le basi delle successive tecniche di anca harai goshi e tsuri goshi, la tecnica di strangolamento hadaka jime e la tecnica di leva ude hishigi jūji gatame del Kōdōkan jūdō.
Tuttavia, poichè la parte superiore e inferiore del keikogi era corta, vi erano molte tecniche che necessitavano di un maai breve e non esistevano tecniche di controllo a terra. Si può pensare che per questa ragione Kanō allungò le maniche del keikogi per rendere possibile lo squilibrio tramite presa alla manica (hikite), e sviluppò nuove tecniche per il controllo a terra.
3 L’insegnamento di non detestare il proprio maestro quando si è ancora tecnicamente immaturi e formare persone rispettose delle regole che si trova nel testo degli allievi principianti del Tenjinshin’yō ryū jūjutsu è stato introdotto nelle regole di addestramento Kōdōkan jūdō. Tuttavia, nel jūjutsu erano forti i caratteri feudali di segretezza che impedivano di scambiare informazioni con gli altri ryū, l’ideale del governo Tokugawa di proteggere la nazione e di dimostrare fedeltà al proprio han.
In questo senso l’obiettivo del Kōdōkan jūdō di formare persone che portino beneficio al mondo tramite l’addestramento spirituale, il combattimento e l’educazione fisica è molto diverso. Inoltre, l’ideale disposizione d’animo al keiko del jūjutsu, chiamata “shikiryoku icchi”, è passato nel Kōdōkan jūdō con l’espressione “shinkiryoku icchi”, e si può dire che la serena disposizione d’animo considerata importante del Kōdōkan jūdō sia per il randori che per lo shiai sia la disposizione d’animo chiamata “fudōshin” che veniva usata sul campo di battaglia.
Traduzione a cura di Emanuele Bertolani
Tutti i diritti sull'originale sono riservati al legittimo proprietario
Continua a leggere
Il kime no kata non è il kata della Decisione
[1] SAKURABA, Takeshi: Jūdō yōgi, Tōkyō 1940.
[2] 真剣勝負の形. Il kata del combattimento reale. La prima denominazione del Kime no kata.
[3] Manuale di Tenjinshin’yō ryū edito a Tōkyō nel 1893.
[4] Il Jūdō e il suo valore dal punto di vista educativo
[5] 幕末 Periodo finale del governo shogunale della famiglia Tokugawa. Corrisponde al periodo che va dal 1853 al 1868
[6] 逆技 gyaku (pronuncia: ghiacu) significa rovescio o contrario. Indica l’applicazione di una leva articolare tramite rovesciamento dell’arto.
[7] 手解 te 手significa “braccio” o “mano”, ma nel gergo delle arti di combattimento giapponesi è equivalente a “tecnica”. 解 significa “sciogliere, slegare” o anche “liberare”. Le tecniche propedeutiche sono dunque quelle nelle quali si impara a liberare le mani.
[8] 表裏 letteralmente fronte e retro. Nel contesto delle arti di combattimento giapponesi, omote si riferisce alla forma ideale della tecnica presente nel kata, ura alla sua concreta realizzazione in combattimento.
[9] WATANABE, Masashi: Kakutō shinsho, Tōkyō 1991
[10] L’area dello scroto.
[11]居捕 letteralmente "sedersi" e "prendere", è la designazione generale delle tecniche di combattimento eseguite a partire dalla posizione seduta
[12] Tenjinshin’yō ryū jūjutsu gokui kyōju zukai
[13] Si tratta dello stesso verbo, scritto nel caso della tecnica di jūjutsu con il carattere antico 拂, e nel caso del jūdō con il carattere moderno 払.
[14] WATANABE, Masashi: Kakutō shinsho, Tōkyō 1991
[15] 心構え kokorogame, letteralmente “la guardia del cuore”, dove “cuore” sta per tutto ciò che l’essere umano ha dentro di sé.
[16] 心気 cuore e ki. Vedi in merito la nota 15.
[17] Secondo la concezione zen del non-dualismo ripresa anche da Takuan Soho e Miyamoto Musashi, l’insorgere della volontà di suddividere la realtà deve essere contrastato perché ha l’effetto di distrarre il kokoro dal momento presente.
[18] 気を満ちる ki wo michiru
[19] SAKURABA, Takeshi: Jūdō yōgi, Tōkyō 1940
[20] Dominio feudale, antica divisione territoriale del Giappone precedente all’avvento delle attuali Prefetture.
[21] 志 volontà, aspirazione. 気 ki 力 forza fisica.
[22]心気力一致
[23] 志気力一致
[24] 気剣体
[25] 心形刀の一致
[26] 隙 letteralmente “varco”, il punto debole o la frattura nella guardia dell’avversario.
Commenti
Posta un commento
La tua opinione è preziosa per noi. Grazie del tempo che ci hai dedicato.