Patristica e Kodokan judo

A questo non avevamo ancora pensato...

Un nostro gentile lettore ci ha contattati ponendo come quesito il significato, se esistente, della successione dei colori nelle cinture del Kōdōkan jūdō. 
 
 

Di fronte ad argomenti in merito ai quali non abbiamo fonti certe, rispondiamo solitamente sulla base del Rasoio di Occam: a parità di fattori, la spiegazione più semplice è probabilmente quella giusta. Perciò la nostra teoria è che la sequenza dei colori rifletta, banalmente, una gamma cromatica che va dal bianco al nero in ordine di gradazione. 
A questo punto, il gentile lettore ci sottopone una immagine che ha trovato, e che illustra una posizione del tutto diversa in merito al problema. 
Per amore di completezza, malgrado non si tratti di termini particolarmente complicati, proponiamo qui una veloce traduzione dallo spagnolo:

6° kyū purezza
5° kyū scoperta
4° kyū illusione / amore
3° kyū speranza / fede
2° idealismo
1° cammino della conoscenza

 Patristica nel Kōdōkan jūdō?


Naturalmente no, il Maestro Kanō fu estremamente rigoroso nel mantenere la propria disciplina assolutamente laica, e in ogni caso, qualora avesse voluto attingere a una tradizione sapienziale, difficilmente si sarebbe rivolto all'esperienza cattolica. Nondimeno, in questa fantasiosa catalogazione dei kyū compaiono le Virtù Teologali così come concepite dalla teologia cattolica, e cioè Fede, Speranza e Amore (Prima lettera di Paolo ai Corinzi).
Il fatto che l'immagine sia glossata in spagnolo ha senso: l'autore ha fatto quello che sovente fanno gli occidentali, proiettando più o meno consapevolmente la propria cultura su una manifestazione della cultura asiatica, in questo caso giapponese, credendo di scorgervi significati reconditi ma perfettamente calzanti con la propria esperienza. Cioè, vedono quello che vogliono vedere, senza preoccuparsi di stare compiendo una operazione del tutto arbitraria. Si tratta di eisegesi, della quale abbiamo parlato anche in un precedente articolo.


Diamo, per amore di dibattito, una chance a questa classificazione. Le arti di combattimento come jūdō, kendō, kyūdō, si pongono come obiettivo il ningen keisei 人間形成, cioè la realizzazione dell'essere umano. L'addestramento è un processo formativo di crescita, tramite il quale si fortifica il corpo e si educa lo spirito, fino a raggiungere una dimensione autenticamente umana. Cioè, fino a purificarsi. E' quindi profondamente contraddittorio che il 6° kyū debba rappresentare la purezza. L'ignoranza, forse. La purezza, intesa alla giapponese, è una condizione ottenuta tramite l'ossequio a un procedimento purificatorio, non qualcosa che l'essere umano possiede di natura. Questo per rispondere preventivamente a chi volesse avanzare l'obiezione che il maestro è colui che ritorna come un principiante. Certo che lo è, ed è allora che si può parlare di purezza, non al livello del principiante. 

Vorremmo inoltre sapere per quale ragione amore e illusione debbano essere accostati, e quale potrebbe essere il senso di vedere l'illusione nel 5° kyū. 

Fede e speranza sono due cose totalmente assenti nel Kōdōkan jūdō e sostanzialmente aliene alla mentalità giapponese, almeno così come le si intende in Occidente. Non si capisce davvero come la pratica del Kōdōkan jūdō possa coltivare, o rafforzare, la fede. In che cosa? In una divinità? Nel genere umano? Si può avere "fede" nel genere umano? Per quanto riguarda la speranza, il dokkōdō di Miyamoto Musashi affermava, già quattrocento anni fa: "rispetta i kami e i buddha senza contare sul loro aiuto", che è poi qualcosa di molto simile alla posizione di Dietrich Bonhoffer, teologo tedesco ucciso per opposizione al regime nazista, quando afferma che l’intervento di Dio segue l’azione dell’uomo, non viceversa.

2° kyū, idealismo. Il Maestro Kanō ha dato al Kōdōkan jūdō un sistema di valori, che ha espresso nelle due massime Seriyoku zen’yō精力善用 e Jita kyōei自他共栄, e che sono caratterizzate da un pragmatismo cristallino e da una concretezza immediata. Si parla di uso, prosperità, forza fisica e mentale, sé e altro, non di pace mondiale o lotta di classe, salvezza del genere umano e simili.

1° kyū, cammino della conoscenza. Questo potrebbe anche avere senso, se fosse posto all’inizio della scala, invece che in mezzo, apparentemente indicando che il suddetto cammino inizia con il 1° kyū. Dal 6° a 1°, quindi, niente conoscenza? E come mai dal 1° dan in poi, cioè da quando si è, in teoria, sufficientemente competenti da iniziare uno studio accurato, non c’è più traccia di significati di sorta?


Sappiamo di stravaganti “teorie del colore”, ne è stata proposta più di una, tutte sostanzialmente indifferenti rispetto al fatto che la cultura giapponese non opera per metafore e l’ultima volta che ha assegnato un significato preciso a una gradazione di colori è stato durante l’epoca Heian (789-1189), e anche in questo caso si trattava di ordine gerarchico nella suddivisione degli incarichi di Corte. Vi è un secondo punto critico a cui chi si oppone all’idea che l’assegnazione di certo colore a un determinato kyū segua una logica arbitraria dovrebbe dare risposta. Sulla base di quale legge e tramite quale meccanismo il supposto effetto di un colore si manifesta sull’essere umano? In termini scientifici, naturalmente, non metafisici. Per contestualizzare la domanda: si sente talvolta chiedere perché il keikogi è bianco, e le risposte possibili sono sostanzialmente due:
a) perché è la forma più semplice ed economica da produrre.
b) perché il bianco favorisce processi interiori di crescita.
Come accennato all’inizio, in quanto fautori del Rasoio di Occam ci sentiamo di scartare senza appello l’opzione b, e tuttavia, dovendo pur ammettere la possibilità di essere in errore, ci interesserebbe sapere da qualcuno più esperto di noi: 
1. Di quali processi di crescita. Hanno un nome? E se sì, quale? Secondo quale modello o teoria della crescita umana?
2. Tramite quale meccanismo il bianco influenza in siffatta maniera l’essere umano
3. Secondo quale canone della cultura giapponese? 

Il bianco è un colore raro nelle attività umane giapponesi. Ci viene in mente l’intonacatura bianca dei castelli di Himeji e di Aizuwakamatsu, che era ignifuga. Ci viene in mente la carta da calligrafia, che è difficile da produrre e diverrebbe ancora più costosa se dovesse essere colorata. Ci vengono in mente i gohei 御幣, le strisce di carta che segnalano la presenza di un’area sacra, ma si tratta di shintō. Ci vengono in mente determinati esempi di architettura templare, come il Tenryūji di Kyōto, ma è questione pratica, pragmatica, non simbolica o metafisica.

In sintesi: per non perdersi nei meandri della speculazione fine a se stessa riteniamo opportuno rimanere saldamenti ancorati ai fatti. I fatti, nel caso specifico, sono questi:
1. Il Maestro Kanō aveva una formazione confuciana
2. Il Maestro Kanō era un fautore del positivismo sociale
3. Il Maestro Kanō non era praticante di alcuna religione e ha mantenuto il Kōdōkan jūdō neutrale così da renderlo accessibile a studenti di qualunque confessione
4. La concezione che la cultura occidentale ha del colore si basa su presupposti diversi e arriva a conclusioni diverse da quelle della cultura giapponese.
Sulla base di questo ci sentiamo di poter dire con una certa sicurezza che i colori delle cinture nel Kōdōkan jūdō vanno dal bianco al nero secondo una semplice, perfino banale, logica di gradazione.

Fino alla prossima volta
Acqua Autunnale
gasshō _/\_

Commenti

  1. Sarebbe interessante sapere come la pensava Kano Jigoro e come aveva impostato le cinture, visto che se ne sentono di tutti i colori, ultimamente ho sentito anche, che dalla nera in su ci sarebbero delle barrette tipo grado militare, arti marziali varie o JuJutsu, mentre ero a conoscenza che invece Kano Jigoro volesse mantenere la semplicità con due o tre colori.

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  2. Sarebbe interessante sapere come gestiva o aveva impostato le cinture Kano Jigoro, visto che se ne sentono di tutti i "colori", addirittura ho sentito che ci sarebbero dei gradi sulle cinture dal 1°dan in su, create con barrette tipo militare o come in altre arti marziali, (giusto per farsi vedere?) mentre sapevo che Kano Jigoro non era per queste cose, ma più per semplicità e umiltà, che han poco a che fare con la visiblità.

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