Yamaoka Tesshu - Vincere come piace all’avversario
Apertura
Abbiamo pensato di svagarci un po’ trattando di un tema non
necessariamente collegato al Kōdōkan jūdō, il quale ci ha tuttavia fornito il
destro per una ulteriore riflessione. Si tratta dell'idea di vittoria come
sopraffazione dell'altro, oppure come vittoria su se stessi, come altri amano
affermare, prima di afferrare che non c'è bisogno di vittoria se non esiste
conflitto.
Yamaoka Tesshū
Si fa un gran parlare, in diversi luoghi “informatici” e
non, della decadenza delle arti di combattimento tradizionali all’epoca del
Rinnovamento Meiji (1868), eppure più di un grande maestro fece la sua comparsa
sulla scena proprio in questo periodo. Secondo Sae Shūichi, autore di Ken
to zen no kokoro,
泰平に眠っていた武士たちに武術奨励の風がおこり、特にペリー来航直後の江戸市中には、雨後の竹の子の如く剣術道場がふえたのです。
“ai bushi che sonnecchiavano in pace giunse il vento di
promozione del bujutsu, e in particolare, subito dopo l’arrivo delle navi di
Perry, nella città di Edo le scuole di kenjutsu si moltiplicarono come germogli
di bambù dopo la pioggia”.
Nell’ambiente del kenjutsu è ad esempio famosa la figura di
Yamaoka Tesshū e della sua lunga battaglia interiore. Nato nel 1836, era
conosciuto per la sua innata abilità con la spada e la sua prestanza fisica
fuori del comune: a conclusione dell’età dello sviluppo era alto un metro e
ottantasei e pesava circa cento cinque chili.
A ventotto anni, dopo una serie di vittorie, incontrò Asari
Matashichirō Yoshiaki, all’epoca quarantaduenne. Secondo un allievo di Asari,
testimone oculare del duello, il combattimento si svolse in un dōjō di soli tre
tatami per cinque e durò mezza giornata, senza che nessuno dei due riuscisse ad
avere la meglio. Giunti in tsuba seriai[1], Tesshū sfruttò
la propria superiorità fisica per entrare in ashi garami e
abbattere l’avversario. Rialzatosi, Asari si sedette al centro del dōjō e si
tolse l’elmo, chiedendo a Tesshū cosa ne pensasse del combattimento. Tesshū
affermò che la vittoria era sua, perché era riuscito a far cadere Asari, ma
questi ribatté facendogli notare che lo aveva colpito al fianco, dove alcune
stecche del dō 胴erano spezzate. Inizialmente Tesshū
rifiutò di riconoscere la sconfitta, accampando come scusa che il dō che
aveva usato era vecchio e probabilmente già spezzato, ma il giorno seguente si
presentò di nuovo ad Asari, ammise di essere stato battuto e divenne suo
allievo.
Per quanto si impegnasse, non c’era modo tuttavia per Tesshū
di avere la meglio sul proprio maestro, il quale in combattimento era talmente
abile a controllare la punta dello shinai Tesshū da
rendergli impossibile muoversi in alcun modo. Nei suoi diari Tesshū afferma che
quando la sera si raccoglieva in meditazione, il maestro Asari gli appariva
alto e insuperabile quanto una montagna.
Tesshū si rivolse allora al maestro zen Tekisui Zenji 滴水禅師 del
tempio Tenryūji di Kyōto, il quale gli disse:
貴下の現在は恰も眼鏡を隔てて物を視るが如しで、眼鏡のないのが自然であり、無用な眼鏡を捨てれば たちまち明鏡止水の境地となって極意を体得することが出来る。
In questo momento è come se tu stessi guardano le cose senza
avere gli occhiali. L’essere senza occhiali è naturale. Quando ti libererai
degli occhiali superflui, realizzerai lo stato “specchio sereno acqua ferma” e
riuscirai a padroneggiare i principi di più alti.
Seguirono dieci anni di addestramento infruttuoso per
Tesshū, che continuava a vivere all’ombra dell’ossessione per il maestro Asari
mentre il Giappone lo shogunato Tokugawa cedeva il posto al Rinnovamento Meiji
e ai suoi oligarchi, alla guerra Boshin, e al successivo rapido diffondersi del
rinnovato entusiasmo per il kenjutsu a livello nazionale.
Tesshū visitò nuovamente il maestro Tekisui, il quale questa
volta si presentò il seguente kōan.
両刃鋒を交へて避けるを須ゐず ryōjin
tsusaki wo majiete sakeru wo mochiizu
好手還りて火裏の蓮に同じ sukite
kaerite ka ri no ren ni onaji
宛然おのづから衝天の気あり enzen
onozukara shōten ni ari
Se entrambi avete incrociato la punta delle spade, non c’è
più bisogno di ritrarsi. Benché spiacevole, se sei un vero esperto, così come
il fiore di loto[2] non
appassisce neppure in mezzo alle fiamme, manterrai la tua forza di
volontà.
Tesshū trascorse altri tre anni cercano la risposta 答案 al
kōan del maestro Tekisui, portandolo sempre con se infilato nell’obi dopo
averlo copiato su un foglio di carta. Vi riuscì finalmente, in modo
inaspettato, grazie alla conversazione con un commerciante che gli parlò
dello shōnin no kiai 商人の気合.
Il 25 marzo 1881 Tesshū scrisse:
浅利に対して剣を振りて試合をなすの形をなせり。然る従前と異なり、剣前更に浅利も幻身を見ず
(in meditazione) ho sollevato la spada per dispormi a
combattere con Asari. Quindi, a differenza di prima, davanti alla spada l’illusione
di Asari non era visibile.
Il 30 marzo invitò nuovamente Asari ad affrontarsi in
duello. Il maestro appariva con una guardia impeccabile e un kiai talmente
intenso da dare l’impressione che dalla punta del bokutō uscissero fiamme, poi
improvvisamente si ricompose e affermò che il duello era finito. Tesshū era
maturato e aveva già appreso tutto, non aveva più nulla da insegnargli.
心を論ずれば総てこれ中心に惑ひ
輸贏に凝滞すればまた巧みを失ふ
剣家精妙の処を識らんと要せば
電光影裏春風を斬る
kokoro wo ronzureba subete kore chūshin ni madoi
yuei ni gotai sureba mata takumi wo ushinau
kenka seimyō no tokoro wo shiran to yōseba
denkō eiri shunpu wo kiru
"Se il cuore (è perso a)
discutere, ogni cosa nel cuore ne è confusa
Se ci si irrigidisce sulla
vittoria, si perde la (propria) abilità
Se si decide di conoscere le
sottigliezze dell’esperto di spada
Si taglierà il fulmine,
l’ombra, il vento di primavera."
Tesshū aprì quindi il proprio dōjō, che battezzò
Shunpukan 春風館, e procedette a fondare la propria scuola, chi chiamò
Mutōryū.
予が発明する所を無刀流と称するは、心外に刀なきを無刀といふ。無刀とは無心いふが如し。無心とは心をとどめずと言ふ事なり。心をとどむれば敵あり、心をとどめざれば敵なし。
Chiamo ciò che io ho scoperto "mutō ryō", si dice
mutō il fatto che non esista spada se non nel proprio cuore. mutō è
uguale a mushin. Mushin significa non fermare il cuore. Se si ferma il proprio
cuore esiste il nemico, se non si ferma il proprio cuore non esiste nemico.
Tesshū ne sintetizza così il principio cardine:
夫、剣法正伝真の極意者、別に法なし、敵の好む所に随ひて勝を得るにあり。敵の好む所は何ぞや。両刃相對すれば必ず敵を打たんと思ふ念あらざるはなし。故に我体を総て敵に任せ、敵の好む処に来るに随ひ勝つを真正の勝つと云う。
Esso, il più alto insegnamento della
autentica trasmissione della Regola della Spada, non ha regole: si tratta di
ottenere la vittoria adattandosi a ciò che garba all'avversario. Che cosa è
mai, questo "ciò che garba all'avversario"? Quando le due lame si incontrano,
l'avversario non potrà certamente non avere il pensiero di colpire. Pertanto
vincere affidando completamente il proprio corpo all'avversario e adattandosi
al venire di ciò che egli preferisce è detto "vittoria secondo l'autentica
trasmissione".
(SAE Shūichi, Ken to zen no kokoro, pp.101-108,
Shinchōsha, Tōkyō 2006)
Conclusioni
Non è certo la prima volta, né l'ultima, che la spada e lo zen si
incrociano, basta pensare alla relazione fra Takuan Sōhō e Miyamoto Musashi. Si
tratta di un tema noto, talvolta discusso con sagacia, più frequentemente, ci
duole dire, banalizzato e distorto. Ciò che ci ha affascinati delle parole di
Tesshū, più della sua lotta interiore e del suo trionfo conclusivo su se
stesso, è l'idea da lui proposta di vincere assecondando l'avversario proprio
laddove egli desidera portarci. Non possiamo fare a meno di pensare alle
competizioni di judo odierne e a come si vedano atleti ormai a tutti i livelli
che rifiutano le prese o cercano con qualsiasi mezzo di imporre quelle a loro
più congeniali. In questo contesto l'insegnamento di Tesshū costituisce
una autentica antinomia, un atteggiamento di rottura rispetto alla logica del
risultato fine a se stesso e con qualunque mezzo. Non che vi sia nulla di male
nel desiderio di primeggiare in competizione, naturalmente, ma crediamo sia
bene che i grandi maestri del passato ci ricordino occasionalmente che la
vittoria in gara è solo una in una sequenza di vittorie, e che la pratica delle
arti di combattimento ha diritto e ragione di ambire a qualcosa di più
alto.
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