Deashi barai o deashi harai - Studio diacronico di un falso problema

Presupposti

Diverse persone hanno avuto la gentilezza di partecipare alla discussione, ciascuno con il proprio parere, in merito precedente articolo sul 出足払, cosa della quale siamo profondamente grati. Abbiamo pensato, grazie agli studi di linguistica di uno membro della nostra équipe, di fare un passo passo in più e mettere a disposizione di tutti una indagine che analizzi 出足払 secondo la prospettiva diacronica, cioè seguendone l'evoluzione nel corso del tempo. A questo fine abbiamo fatto appello alla Biblioteca della Dieta Giapponese e alle nostre risorse private, riuscendo a mettere insieme una ventina di testi inerenti al Kōdōkan jūdō che vanno dall'epoca Meiji (1868 - 1912) all'epoca Heisei (1989 -), per identificare, se possibile, la grafia più antica e la più diffusa, ovvero la presenza contemporanea di entrambe le varianti. 

Metodo di lavoro

Di ciascun testo vengono indicati, nell'ordine:
  1. Epoca di pubblicazione
  2. Titolo (in giapponese, trascritto in caratteri latini secondo in sistema Hepburn)
  3. Autori 
  4. Numero di pagina citata
  5. Denominazione della tecnica (in kanjji, quindi furigana così come presente nel testo)
  6. Trascrizione del furigana in caratteri latini secondo il sistema Hepburn
Per una corretta comprensione dei contenuti, è giocoforza partire da una rapida discussione sui sistemi di trascrizione della lingua giapponese e della loro evoluzione nel tempo.

Primo passo: i caratteri cinesi

L'adozione dei caratteri cinesi come mezzo per scrivere la lingua giapponese è stata discussa in precedenti articoli, ai quali rimandiamo. In questa sede, è sufficiente ricordare che i giapponesi, mancando di un sistema di scrittura autoctono, adottarono quello che i cinesi erano andati sviluppando da millenni intorno al V secolo a.C. Questo comportò il superamento di una consistente serie di difficoltà, provocate dalle notevoli differenze fra cinese e giapponese.
La potenza dei caratteri cinesi è evidente ancora oggi: a fronte di una popolazione di oltre un miliardo e duecento milioni di persone, decine di lingue diverse convivono a fianco della lingua ufficiale, il dialetto di Pechino o Cinese Mandarino. In altre parole, il Cinese Mandarino non è parlato, né compreso correntemente, dalla totalità della popolazione cinese. Le differenze di pronuncia sono tali, per esempio, da rendere il Cinese Mandarino e il Cantonese mutualmente non intellegibili. Tuttavia, il problema viene risolto brillantemente tramite la scrittura. Esattamente come qualsiasi automobilista al mondo sa di dover dare la precedenza quando vede un cartello triangolare rosso e bianco, qualsiasi persona che abbia studiato i caratteri cinesi, quale che sia la pronuncia che ha imparato ad assegnare a ciascuno di loro, sa riconoscere il 中国 il significato di "Cina". 


Secondo passo: i sillabari Katakana e Hiragana

Il problema sorge quando è necessario leggere i caratteri, cioè dare loro una realizzazione pratica. La ragione è semplice: mentre qualsiasi persona che abbia studiato le ventuno lettere dell'alfabeto italiano può, potenzialmente, leggere qualsiasi parola dell'italiano scritto, è possibile leggere un carattere cinese solo a condizione che lo si sia studiato precedentemente. Non c'è modo, ad esempio, di decodificare la pronuncia di un carattere come questo 鬱. Occorre averla memorizzata precedentemente. 
È evidente che nel Giappone nel V secolo d.C. la maggior parte della popolazione era pressata da esigenze di diversa natura, ma per i membri maschi della Corte e per il nascente clero buddhista poter leggere i testi sacri era una necessità imprescindibile. Questo portò alla nascita di un sistema di trascrizione della pronuncia che sacrificò la potenza espressiva del carattere, semplificandone i tratti, per trasformarlo da indicatore di significato a indicatore di pronuncia: i kana 仮名. In questo modo, si poté procedere a glossare i testi sacri, e successivamente gli atti ufficiali, apponendo i kana indicanti la pronuncia accanto ai relativi caratteri. Questa pratica, detta furigana振り仮名, è ampiamente in uso ancora oggi.
Vi sono tuttavia due fattori da tenere in considerazione. 
  • La proliferazione di diverse varianti per trascrivere il medesimo suono, dovuta al fatto che lo sviluppo dei sillabari katana e hiragana, e il loro impiego in veste di furigana, fu un processo lungo e condotto da più soggetti contemporaneamente, non in collaborazione fra loro. 
  • L'evoluzione della lingua giapponese e le conseguenti modifiche alla sua pronuncia nel corso del tempo.

Terzo passo: suoni puri, impuri, semipuri.

Gli studiosi indigeni della "lingua nazionale" adottarono ben presto i criteri di classificazione di origine cinese, suddividendo le sillabe della lingua giapponese in suoni puri, seion 清音, impuri, dakuon 濁音, 世  e semipuri, handakuon 半濁音. In senso lato, si può dire che la differenza coincida con la divisione fra consonanti sorde e consonanti sonore. Ad esempio:


Seion           清音     : ka    ta    sa
Dakuon       濁音      : ga   da   za 

L'unico caso nel quale compaiono i suoni semipuri è costituito dalle sillabe che contengono la consonante /p/.

Seion             清音                ha
Dakuon          濁音                ba
Handakuon    半濁音             pa

Si vede quindi la progressione da un suono "puro" (ha aspirata) a un suono impuro (b, consonante sonora) a un suono semipuro (p, occlusiva labiale sorda).



Quarto passo: trascrizione e pronuncia non necessariamente corrispondono

Il giapponese odierno è stato oggetto, nel 1946 e nel 1986, di riforme ufficiali che ne hanno standardizzato la trascrizione. Tuttavia, permangono alcuni casi nei quali la pronuncia di una data parola non corrisponde alla sillaba usata per trascriverla. Ad esempio, la particella は, che nel giapponese odierno indica approssimativamente il "tema" della frase, viene scritta con la sillaba che indica il suono HA, ma è pronunciata come WA.

私は柔道教師です watashi WA jūdō kyōshi desu

Allo stesso modo, la particella を, che nel giapponese odierno indica il caso accusativo, o l'oggetto della frase, viene scritta con la sillaba che indicava il suono WO, ma è pronunciata come "o", essendo il suono WO scomparso dal giapponese standard.

柔道を習いたいです jūdō WO naraitai desu 

Il modo di scrivere la pronuncia del giapponese tramite le sillabe Hiragana e Katana, regolamentato dal Ministero dell'Educazione nel 1986, è chiamato Gendaiteki kanazukai 現代的仮名遣い, o "uso moderno dei kana" (per saperne di più,vai alla pagina). Fino a prima della fine della Guerra, era invece in vigore il Rekishiteki kanazukai 歴史的仮名遣い, o "uso storico dei kana" (per saperne di più, vai alla pagina). Questo significa che tutto il materiale scritto in giapponese, ivi compresi manuali, libri e articoli sulle arti marziali, fino al 1946 è scritto utilizzando il Rekishiteki kanzukai. Non solo il testo vero e proprio, ma perfino i furigana dei kanji usati nel testo. 


Quinto passo: il Rekishiteki kanazukai

Come si può arguire dalla denominazione, il Rekishiteki kanazukai è basato sul un giapponese "storico", nella fattispecie il giapponese così come era pronunciato nell'Epoca Heian (794-1185 d.C.). Esso venne costituendosi verso la fine dell'Epoca Tokugawa (1600-1868) e rimase in corso fino alla fine della Guerra. Venne così a crearsi una situazione nella quale era richiesto di scrivere la parole con la grafia del XII secolo, ma di leggerle pronunciandole secondo il giapponese corrente. Un po' come se, volendo azzardare un paragone, gli italiani avessero dovuto attenersi alla grafia usata da Dante nella stesura della Commedia, scrivendo quivi invece di qui, dimonio invece di demonio, virtute invece di virtù, dovendo però leggere "qui", "demonio", "virtù" al momento di vocalizzare il testo scritto.
Per fare un esempio, il giapponese del periodo Meiji, nel quale visse il Maestro Kanō, aveva già in gran parte semplificato la sillaba hiひ in i い, ma la parola "interessante", 面白い,
continuava ad essere trascritta in kana come おもしろひ, omoshirohi, e letta omoshiroi
Un ulteriore elemento di difficoltà deriva dal fatto che la segnalazione dei suoi impuri e semipuri tramite l'apposizione del dakuten ゛, per i suoi impuri, e ゜、per i suoni impuri, divenne obbligatoria solo a partire dal 1927. Prima, l'indicazione era facoltativa, dunque spettava al lettore desumere la pronuncia sulla base del contesto e della propria preparazione.
Ad esempio, nel giapponese classico la negazione veniva segnalata dalla presenza della particella ず in fondo al verbo. ず è la versione "impura", della sillaba す, la quale in giapponese classico indica approssimativamente quello che in italiano è il presente semplice. Di conseguenza, una costruzione come 

人ニアラス

poteva essere in teoria letto sia come hito ni arasu che come hito ni arazu. Il parlante nativo avrebbe poi identificato la lettura hito ni arazu, "non è un essere umano", come l'unica possibile, dunque come quella corretta. 



Sesto passo: ufficializzazione della trascrizione 


L'indicazione dei suoni impuri e semipuri tramite i segni diacritici ゛(dakuten, per le vocali sonore) e ゜(handakuten, per il suono /p/)  venne regolamentata per legge nel 1927, ma ancora nel 1945  vi erano testi ufficiali che non la impiegavano. Essa divenne obbligatoria soltanto nel 1986, con l'ufficializzazione del Gendaiteki kanazukai
Questo significa che il fenomeno del rendaku (per saperne di più, vai alla pagina), del quale si è parlato nell'articolo relativo al deashi barai, non venne regolarmente e inderogabilmente segnalato nella trascrizione in kana che a partire dal 1986.
Pertanto, specialmente nei testi che precedono la fine della Guerra, è più che possibile trovare parole che richiedano di essere pronunciate con il rendaku, ma che sono scritte come se così non fosse.

Settimo passo: deashi barai o deashi harai?

Ecco una tabella che racchiude i dettagli della nostra indagine. 


















Si notano una serie di varianti:
de ashi harai
deashi barai
deashi barahi
deashi harahi

La presenza della sillaba -hi in luogo del più comune -i indica che la parola è scritta secondo il Rekishiteki kanazukai, che mantiene per iscritto la terminazione hi ひ, ma la legge -i come nel giapponese standard. Questo vuol dire che il furigana non necessariamente rispecchia la reale pronuncia del termine poiché, come abbiamo visto, l'uso del dakuten ゛per indicare il passaggio da h- a b- non divenne obbligatorio fino al 1946. E' del tutto possibile, quindi, che una trascrizione come であしはらひ, *deashi harahi, venisse letta come "deashi barai", oppure come "deashi harai". 

D'altra parte,è importante notare che la tabella riporta esattamente i furigana presenti nel testo, quindi la presenza del dakuon 濁音 nel furigana indica indiscutibilmente la presenza di un suono impuro. Questo significa, ad esempio, che Isogai Hajime, nel Jūdō tehiki gusa, pubblicato nel 1910, dunque quando il Maestro Kanō era vivo e in piena attività, intendeva che la tecnica 出足払 venisse effettivamente pronunciata deashi barai. Isogai Hajime fu la seconda persona, in ordine di tempo, a essere nominata 10° dan. Un altro 10° dan, Mifune Kyūzo, scrive il nome della tecnica come deashi barai nel suo Canon of Judo del 1956, ma il documentario Essence of Judo, del 1955, a cura dello stesso Maestro, la legge come deashi harai

Ottavo passo: è davvero importante?

Dal nostro punto di vista, no. A fronte del fatto che entrambe le realizzazioni sono possibili e accettabili, con un uguale livello di correttezza, e che entrambe sono presenti nei testi disponibili a partire dall'Epoca Meiji in poi, non vi sono elementi per affermare la superiorità dell'una rispetto all'altra, o la correttezza dell'una rispetto alla "scorrettezza" dell'altra. In buona sostanza, si può sostenere che si tratti di un falso problema. 




Fino alla prossima volta

Acqua Autunnale
gasshō
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