Fondamenti del Judo (Judo Kyohon) : qualcosa non quadra
Che cos'è "Judo Kyohon"
A detta di alcuni, si tratta "dell'unico libro sul jūdō scritto dal Maestro Kanō ". Eppure, in Fondamenti del Judo (Judo Kyohon) qualcosa non quadra.
In realtà l'opera omnia degli scritti del Maestro Kanō comprende quattordici volumi, quindi c'è ben più di un libro scritto da lui sul jūdō, ma diciamo che si tratta comunque di un testo "fondamentale", nel senso che raccoglie una serie di articoli, apparsi su diversi periodici giapponesi fra il 1915 e il 1932, a firma del fondatore del Kōdōkan jūdō. La pubblicazione della versione italiana costituì un momento topico in quanto concepito come un ipotetico ponte fra i due versanti del jūdō italiano, che chiameremo "associativo" e "federativo". I lettori o le gentili lettrici al di sopra di una certa età non hanno bisogno di ulteriori riferimenti, mentre rimando tutti gli altri alla consultazione manuale del testo in oggetto. Ad ogni modo, una delle frasi conclusive del Maestro che scrisse l'introduzione è testimonianza sufficiente ad attestare l'importanza che rivestì la pubblicazione di questo volume, il quale parla, secondo il Maestro, di
"[...]quel contenuto rivoluzionario che ci fa affermare, dopo la lettura di Judo Kyohon, "oggi comincia il judo"
Perché scrivere l'articolo allora?
Per una semplice ragione: l'edizione 2003 dei Fondamenti del Judo è piena di errori che sicuramente anche altri hanno notato e che potrebbero comprometterne, almeno parzialmente, l'impatto sul grande pubblico.
1 Problemi di metodo
In ragione della mia formazione, sono stato abituato a ragionare, al momento di affrontare un compito importante come la stesura di una tesi, una traduzione tecnica o la bozza di un libro, per parametri piuttosto stringenti, e cioè:
- Motivare ogni affermazione che non sia frutto del proprio ragionamento personale con citazioni tratte da fonti verificabili, in modo che il peso dell'argomentazione possa essere valutato a prescindere dall' identità di chi scrive.
- Attenersi, per quanto possibile, alla consuetudine accademica quando si trascrivono termini da lingue straniere, in special modo da lingue di nicchia.
Oggigiorno chiunque può rendersi conto di un errore in inglese, mentre identificare un errore in giapponese, o dal giapponese, è pressoché impossibile per il lettore non specialista. Il che significa due cose: primo, gli errori che diversamente verrebbero notati e disinnescati sono liberi di circolare. Secondo, la mancanza di controllo, o anche solo la mancanza di potenziale controllo, lascia libero chi abbia pochi o nessuno scrupolo di scrivere sostanzialmente quello che vuole, senza poter essere contestato.
Quello che si sta dicendo è questo: se un maestro insegna a un gruppo di non esperti che l'intervallo fra tori e uke si chiama *mae ae, invece di maai, alcuni possono scoprirlo subito, altri dopo anni, altri ancora mai, ma il punto è che l’informazione è comunque sbagliata, anche se il maestro parla in buona fede. Quindi è precisa responsabilità di chi diffonde parole straniere assicurarsi che quelle parole siano giuste. Inoltre, chi fa affermazioni importanti sul quale sia ad esempio, l'origine o il significato della parola jū, deve anche dettagliare da dove trae l'informazione, perché si dà il caso che la lingua giapponese sia letteralmente costellata di omofoni e, in mancanza della scrittura in kanji per vedere graficamente la differenza di significato, è davvero questione di poco prendere lucciole per lanterne, come vedremo tra breve.
Ecco il primo problema: la trascrizione delle parole giapponesi. Il sistema universalmente accettato per la trascrizione delle parole giapponesi in caratteri latini è il sistema Hepburn, che richiede, fra l'altro, l'uso del diacritico sulle vocali ū e ō per indicarne l'allungamento. Questo perché in giapponese una vocale lunga o breve fa tutta la differenza che è possibile immaginare.
Se si trascura questo dettaglio la confusione è inevitabile: prendiamo ad esempio la parola go, che potrebbe essere
- 五 (cinque)
- 語 (linguaggio)
- 碁 (scacchi cinesi)
- 御 (prefisso onorifico)
- 後 (dopo)
ma anche
- gō 業 (azione karmica)
- 号 (chiamare)
- 剛 (rigido)
Senza il diacritico, come distinguere il go di “go no sen” dal gō inteso come l'opposto di jū? Il fatto che non sia stata adottata la corretta procedura di trascrizione, che nel testo siano assenti i corrispondenti caratteri giapponesi e che i termini giapponesi non siano glossati è potenzialmente un problema per il lettore che voglia approfondire il significato di ciò che legge.
Il secondo problema riguarda i corsivi, frequentissimi, che inframmezzano il corpo del testo. Si tratta presumibilmente di un commento vergato dall'associazione che ha curato la revisione del manuale, ma questo non è mai specificato. Non è un problema da poco se si considera che a) occasionalmente il commento contiene degli errori fattuali b) se non interpretato come commento, lo si deve necessariamente interpretare come la voce narrante del Maestro Kanō, il che è problematico se il corsivo parla, ad esempio, di difese go, chowa e yawara (entrambe le o senza diacritico, quando ci vorrebbe), che il Maestro non nomina mai direttamente. Per essere chiari fino in fondo: non si sta dicendo che si sia voluto surrettiziamente attribuire al Maestro Kanō cose che non ha mai detto lasciando deliberatamente ambigua l'attribuzione delle frasi in corsivo, ma solo che questo è un potenziale effetto collaterale di una certa mancanza di rigore.
2 Si comincia...
Elenchiamo le imprecisioni riscontrate, riportando la frase incriminata verbatim per poi commentarla, per dovere di informazione e in ogni caso a beneficio di chi, come noi, è in possesso dell'Edizione 2003, scusandoci nel frattempo se, a fronte di eventuali successive ristampe, gli errori dovessero già essere stati corretti.
1. Pag. 22 "Personalmente mi procuravo materiale di ogni tipo: dai libri segreti (i densho) a diplomi di trasmissione (certificati)"
I densho 伝書 non sono libri segreti. Il più delle volte si tratta di rotoli con gli elenchi delle tecniche e della genealogia della scuola. La parola 伝書 non contiene in alcun punto l'idea di segreto. "Diplomi di trasmissione" si riferisce probabilmente alle parole menkyo 免許, “permesso”, e menkyo kaiden 免許皆伝, “permesso alla trasmissione completa”, con il quale era possibile insegnare autonomamente.
2. Pag. 25 "(per il prefisso comune, modernamente scritto <<ju>> e anticamente <<jiu>>; sono letture cinesi dell'ideogramma <<yawara>>)
Il carattere in questione, 柔, in cinese si legge róu, perciò ju e jiu tutto posso dirsi fuorché letture cinesi. Sono letture on, cioè letture giapponesi modellate sull'antica fonetica cinese. La lettura jiu è una traslitterazione scorretta, perché darebbe origine a un'altra parola (nella fattispecie 慈雨, "pioggia agognata dopo la siccità "), tanto quanto lo è jitsu al posto di jutsu, delle sillabe giapponesi じゅう (ji + yu + u = jū). In questo caso l'inciso è evidentemente frutto del lavoro dei revisori e non del Maestro Kanō, che comprendeva bene i meccanismi della propria lingua.
3. "Nel judo l'attacco ha tre possibili strategie e precisamente nage (proiezioni), katame (lotta corpo a corpo) e ate (colpire)"
Si sarà pignoli, magari, ma abbiamo l'impressione che katame 固 stia per "indurire, bloccare, controllare", e che d'altro canto il randori in piedi si qualifichi pienamente come lotta corpo a corpo.
4. "Il primo che scatta con una mossa appropriata può aggiudicarsi un grosso vantaggio. In questo caso è <<saki-no-saki>> (anticipare di un passo); (comportamento ispirato al principio <<yo>>che comprende <<sen>>, prendere l'iniziativa, e <<hyoshi>>, attaccare in combinazione).
Yō, con diacritico sulla vocale, è l'equivalente giapponese della parola cinese yáng 陽, uno dei poli complementari che formano il tàijí. E' di per sé opinabile usare categorie filosofiche cinesi, che il Maestro Kanō non cita una sola volta in tutto il libro, per chiosare le sue affermazioni. Saki e sen sono due letture del medesimo carattere 先, che significa "avanti" o "prima", ma non ci dice se l'anticipo debba essere di uno passo, due passi o magari solo mezzo passo, quindi interpretare saki no saki 先の先, che altri scriverebbe sen no sen, come "anticipare di un passo", è per lo meno una forzatura. Inoltre, si finisce per affermare che saki no saki, cioè sen no sen, comprenda il sen. Cioè che l'iniziativa prima dell'iniziativa comprenda l'iniziativa. Ci sembra un po' tautologico. Infine, hyōshi 拍子, sempre con diacritico, sta per "ritmo" o al limite "la condizione in cui si trova qualcosa". Peccato non venga spiegato in quale modo passi a significare, nell'ambito del Kōdōkan jūdō e nello specifico nelle parole del Maestro Kanō, "attaccare in combinazione".
5. "questo è l'indispensabile studio hi-ga (lui e me), che può suggerirci di lasciare l'iniziativa all'avversario per trovare la massima efficacia approfittando di un'opportunità, secondo la tattica <<ato-no-saki>> (posticipare di un passo); (comportamento passivo <<in>>, che comprende <<omote>>, cogliere l'opportunità e <<gonosen>>, contrattaccare).
Tralasciando il fatto che higa è più propriamente "l'altro e il sé ", non necessariamente limitando l'altro al genere maschile, <<ato-no-saki>> 後の先, è semplicemente il frutto degli stessi caratteri con i quali si scrive go no sen, letti completamente alla giapponese. Si capisce quindi che sostenere che go no sen sia un comportamento che comprende go no sen sia decisamente pleonastico. Qui compare il secondo polo, in, dal cinese yīn 陰陽, e vale quanto affermato in merito al polo yō. Omote表 significa manifestare, esprimere, la parte davanti, e purtroppo non ci viene spiegato in che modo questo debba concretizzarsi nel cogliere l'opportunità, soprattutto perché il Maestro Kanō non ne fa menzione. Da ultimo, l’opposto e complemento di omote è ura, il rovescio o anche ciò che non è apparente, menzionato ad esempio in The Essence of Judo del Maestro Mifune e qui sfortunatamente assente.
6.Pag.55 Il sistema tradizionale contemplava solo tre riconoscimenti: Mokuroku (diploma), Menkyo (certificato iniziatico) e Kaiden (Maestro).
Mokuroku 目録 significa "indice", non diploma. Di menkyo e menkyo kaiden si è già detto al punto 1, ma vogliamo precisare che, malgrado vi siano diverse parole per tradurre la parola "maestro" in giapponese (先生sensei, 教師 kyōshi, 師匠 shishō, 師範 shihan…), kaiden 皆伝 non è fra queste.
7. Pag. 63 Koaku shiai dell'autunno 1916
La parola koaku non esiste in giapponese, anche se per assonanza può assomigliare a 子悪, "bambino (ko) cattivo (aku)". Si tratta invece di kōhaku shiai 紅白試合, formato da kō , con diacritico, 紅 (rosso), haku , con h aspirata, 白(bianco), e shiai 試合 (letteralmente “provare”, tamesu 試す e “unire” au 合う).
8. pag. 66 "col procedere dell'allenamento si arriva a sho-dan (piccolo dan, che sta per 1 dan)
E' precisamente questo il caso in cui una vocale lunga o breve trasforma completamente una frase. Lungi dal trattarsi di onanismo linguistico, come altri hanno voluto sostenere di fronte a puntualizzazioni di questo tipo, qui si tratta di errore puro e semplice, per non dire di peggio. Shodan, scritto correttamente senza diacritico, si scrive 初段, dove 段 sta per gradino e 初 è il verbo iniziare. Shodan è dunque il gradino iniziale, cioè il primo dan. Nulla a che vedere con "piccolo", che si scrive ko 小, o con "poco", shō 少. Esiste naturalmente anche la parola shōdan, che potrebbe trarre in inganno fino a che non se ne esaminassero i caratteri, 昇段, per concludere che significa "passaggio di grado". E' questa, lo ripetiamo, la ragione per la quale in giapponese vocali e diacritici non sono un vezzo da presuntuosi e saccenti, ma i ferri del mestiere, senza i quali si rischia di commentare a sproposito questioni più che rilevanti.
9.pag.73 Soltanto colui che si sottopone allo studio, all'allenamento Bun bu (virtù civile e virtù marziale) [...]
Il concetto di bunbu 文武, questo sì di origine cinese, fa riferimento alle lettere文, cioè allo studio, e alla sfera marziale, 武. Non si tratta di “virtù” civili o militari. Primo, perché in Giappone il governo fu appannaggio dei militari a partire dal XII secolo d.C. fino al Rinnovamento Meiji del 1868, quindi il concetto di "civile" in politica era ignoto, e in secondo luogo perché, essendo la pratica delle arti marziali di fatto interdetta a chi non appartenesse alla classe dei samurai, il concetto si riferiva necessariamente a loro, che dovevano distinguersi, almeno idealmente, dai coscritti che imbracciavano occasionalmente le armi per il fatto di essere in possesso di una istruzione, cioè di avere imparato a leggere e scrivere migliaia di caratteri cinesi, il che, questo sì, era considerato formativo per il carattere e per la virtù.
10. pag. 77 Quando si parla di Jiujutsu o di Judo il pensiero corre spesso al principio Ju no seigoo (<la dolcezza controlla la durezza>>, o più comunemente: <<il debole controlla il forte).
Della grafia di jiu si è già detto, perciò soprassediamo per concentrarci su altro. Il principio a cui si fa riferimento è citato nella classico militare cinese Sanryaku, dove è scritto 柔能制剛. In cinese: Róu néng zhì gāng. In giapponese, esso diventa jū nō sei gō, quindi a parte i tre diacritici in fila mancati, c'è un problema relativo a no: senza diacritico si scambia automaticamente con no の, possessivo, mentre il significato di gō 剛, scritto goo, si perde. I giapponesi sono però soliti leggere il motto come 柔能く剛制す, jū yoku gō sei su, cioè "il flessibile può controllare il rigido". Dolce e forte si scrivono in modo diverso e, soprattutto, se non si tiene conto di 能 si perde la pragmatica dell'affermazione: può controllare, non è automatico né sicuro. Manca il corsivo, ma siamo abbastanza sicuri che la glossa fra parentesi non sia autografa del Maestro Kanō perché il motto era facilmente comprensibile nel Giappone del suo tempo.
11 pag.81 [...] la presentazione del metodo autodidattico inserita nel manuale <<Judo per famiglia>>
Forse "judo per famiglie", in italiano, ma il fatto è che l'originale giapponese probabilmente ha katei jūdō 家庭柔道, cioè "judo domestico" nel senso di praticato in casa, non necessariamente riguardante la famiglia in sé.
12 pag.92 [...] il corso di perfezionamento dell'atemi-jutsu (boxe)
Fatichiamo a credere che il Maestro Kanō abbia chiamato gli atemi jutsu "boxe", specie alla luce del fatto che il Seiryoku zen'yō kokumin taiiku da lui sviluppato contiene tecniche di calcio, e il Maestro era sufficientemente acculturato per sapere che la boxe non contempla colpi con le gambe. Il corsivo punta verso una glossa posteriore, e pone quindi il problema di chi abbia scritto che gli atemi equivalgono alla boxe.
13 pag. 103 "butokukai: <<sala delle virtù marziali>>.
Butokukai 武徳会 significa "associazione会 della virtù特 marziale武".
14 pag. 104 "tradizionalmente il Butokukai aveva un suo sistema di qualifica, diviso in pochi titoli di onore, quali <<Han-shi>> (cavaliere modello),<<Kyo-shi>> (cavaliere maestro), <<Sei-ren>> (certificato di diploma) (detto anche renshi).
In primis, la sequenza in ordine crescente è renshi 練士, kyōshi 教士, hanshi 範士. Tutti condividono il carattere 士, che non significa cavaliere, ma "gentiluomo, nobiluomo". Il termine per cavaliere è kishi 騎士. Sembrerebbe strano che coloro che si addestrano o istruiscono ad arti di combattimento appiedate debbano chiamarsi "cavalieri". Renshi significa praticante (da 練, allenarsi), non “certificato di diploma”.
15 pag.114 "a esempio Tenjin-shinyo, che puntava soprattutto sul shime-waza e sul kwansetsu waza [...]
Stante la penuria dell'impiego dell'articolo determinativo e delle preposizioni semplici (AD esempio IL Tenshinshinyo, che puntava soprattutto SULLO shime-waza), troviamo una curiosa grafia, kwansetsu, che è impossibile in giapponese odierno. Non c'è modo in giapponese di scrivere una k seguita da una lettera che non sia una vocale. Tuttavia, nel giapponese classico dell’Epoca Heian (794 – 1185 d.C.) esistevano in Giapponese alcune parole che contenevano il suono *kuwa, in massima parte prestiti dal cinese che si sarebbero letti /kua/ o /gua/ in quella lingua. Queste parole venivano trascritte con un sistema chiama Rekishiteki kanazukai, cioè uso storico dei kana, con il seguente stratagemma: la silla /ku/ ク e la sillaba /wa/ワ, più piccola : クヮ. E’ questo il caso, ad esempio, del kanji 館, che in cinese si legge guǎn e che è traslitterato in giapponese classico guwanグヮン, secondo il Rekishiteki kanazukai , e in giapponese moderno kan. Questo significa, ad esempio, che la parola Kōdōkan 講道館 sarebbe stata letta *Kōdōkuwan in giapponese classico. Identico discorso vale per il kanji guān 関, con il quale è scritta la parola 関節, articolazione, e che veniva traslitterato come kuwansetsu クヮンセツ in giapponese classico e come kansetsu カンセツin giapponese moderno.
A partire dalla fine dell’epoca Tokugawa (1600 – 1868), i suoni /kuwa/ e /guwa/ andarono assimilandosi in /ka/, e per la fine dell’Epoca Meiji (1868 – 1912) erano scomparsi dal giapponese corrente, anche se rimasero a livello di trascrizione in kana fino alla fine della Guerra. Questo dettaglio è importante perché ci dice. Solo i traduttori stranieri che lavorarono a testi giapponesi prima del dopoguerra potevano incontrare クヮ in traslitterazione, e poiché si trattava in massima parte di inglesi e americani la rendevano come “kwa” per facilitarne la pronuncia. Il punto è che, quando il Maestro Kanō scriveva, la parola era già pronunciata kansetsu, e siccome Judo Kyohon è fuori stampa in Giappone ed la ristampa più recente risale al 1959, questa traslitterazione può venire solo da una traduzione dall’inglese precedente all’entrata in vigore delle nuove regole per l’uso dei kana, Gendai kanazukai, del 1946. Il che significa, verosimilmente, che la traduzione italiana di Judo Kyohon è basata almeno parzialmente su una traduzione dal giapponese all’inglese e non sul testo giapponese originale. Infatti, il volume non reca indicazioni circa l’origine della traduzione. Questo vuol dire che il libro è da buttare? Certamente no, ma è da prendere cum grano salis, in parte perché una traduzione da lingua seconda è statisticamente meno corretta di una traduzione diretta, in secondo luogo perché la traduttrice ha lasciato la grafia kwansetsu ma ha scritto correttamente Kodokan, in luogo di *Kodokwan, come sarebbe logico aspettarsi se avesse operato una scelta filologica attenendosi alla traslitterazione Rekishiteki kanazukai in tutte le parole nelle quali essa occorre. Il che vuol dire, in sostanza, che o la traduttrice ha fatto delle scelte particolari, che non spiega, oppure ha tradotto dall’inglese e non dal giapponese.
16 pag.115 "[...] attraverso due metodi di esercitazione che sono chiamati randori (esercizio libero) e katachi (forma o modello).
Randori 乱取 significa propriamente “prendere” , tori, “senza ordine, disordinato, confuso",ran, intendendo con questo che a differenza di quanto avviene nel kata non vi suono ruoli predefiniti circa chi debba attaccare e chi difendersi. Katachi è la forma tangibile delle cose, il contorno della loro manifestazione fisica, non la "forma" intesa come un insieme formalizzato di movimenti preordinati. Questo è necessariamente chiamato kata, e sembra strano che sia sfuggito non tanto alla traduttrice, quanto alla revisione e ai redattori della Presentazione e dell'Introduzione. Sostenere che il Maestro Kanō chiamasse i kata "katachi" significa stravolgere completamente il suo insegnamento e ci costringerebbe, da subito, a cominciare a dire "nage no katachi", "katame no katachi", "kime no katachi" e via dicendo.
17 pag.116 "la ginnastica nazionale secondo il miglior impiego dell'energia"
Ginnastica si dice taisō 体操, mentre taiiku 体育 significa educazione fisica. Inoltre, kokumin 国民 significa “popolo”, non “nazionale”. Non è un fatto trascurabile se si tiene conto dell'anno in cui fu scritto l'articolo, 1926, cioè in piena stagione militarista, e dei destinatari di questo kata, che non erano né i soldati, né i marinai, ma i comuni cittadini, cioè il "popolo" e non la nazione. Da notare, infine, che se si considera seiryoku 精力 come "energia", la si deve per forza classificare come "energia spirituale", se no è giocoforza spezzare la parola e descriverla come "spirito e forza fisica".
18 pag. 121 "[...] il concetto del <<miglior impiego dell'energia>> viene a manifestarsi come Ji-ta-kyo-ei (realizzare se stessi per progredire insieme).
In merito al miglior impiego dell'energia, si veda il passo precedente. Jita kyōei 自他共栄, con diacritico sulla o, significa: se stesso (自) e ciò che è altro da sé (他), kyō 共 insieme, ei 栄 viene dal verbo sakaeru, "prosperare". Non c'è riferimento al realizzare se stessi, a meno di voler manipolare il motto forzandone il significato. Anche in questo caso, si tratta di un corsivo aggiunto a posteriori e non autografo del Maestro Kanō.
19 pag. 124 "il judo è l'arte del rinvigorimento (Katsu-do) in una società attiva e operosa".
Katsudō 活動, scritto con diacritico e con un carattere del tutto diverso dal dō di Via 道, significa "attività", non rinvigorimento.
20 pag. 126 "questo lo troviamo nell'allenamento del judo, dove la tattica del <<sente>> (anticipare di un passo) [...]
Qui si tratta quasi certamente di un qualche software di correzione automatica che ha scritto "sente" al posto di "sen". Resta identica l'obiezione a sen come anticipare di un passo già espressa in precedenza. Anche in questo caso, possibile che nessuno si sia accorto del refuso? Dopotutto stiamo parlando di un progetto per il quale si nomina la partecipazione una associazione, dunque per definizione almeno due persone, un traduttore e almeno altri due esperti.
21 pag. 131 "Ho usato il termine shuyoo (coltivazione) invece di quello più comune di <<tanren>> (rinforzamento)
Tanren 鍛錬 significa propriamente rendere più forti tramite l'addestramento o temperare il metallo battendolo
22 pag. 145 "una raccomandazione riguarda quegli esercizi che fanno uso di cadute accettate (yaku-shoku-geiko)"
Yakusoku 約束, significa “promessa” o “accordo”. Yakushoku significa invece, rispettivamente, mangiare selvaggina 薬食 o posizione lavorativa 役職, quindi siamo inclini a pensare che si tratti di un refuso della revisione. Yakusoku geiko si può intendere come addestramento concordato, più che come cadute accettate.
23 pag.147 "e se parliamo della situazione nelle province, gli insegnanti non fanno progressi tanto nella tecnica, quanto nel bu-ai (incidenza di proporzione).
Dobbiamo arrenderci alla nostra stessa ignoranza: in assenza di caratteri giapponesi, non ci riesce di immaginare cosa possa significare bu-ai in giapponese, né in che rapporti possa essere l'incidenza di proporzione menzionata dalla glossa, evidentemente non del Maestro Kanō, rispetto alla tecnica.
24 pag.157 (ricordiamo che il Judo era materia scolastica)
In effetti no: fino alla fine della Guerra, jūdō e kendō erano inclusi nei programmi della materia educazione fisica, ma non erano materia in sé e per sé in quanto non valutati.
25 pag.170 "[...] le nottate con il gi (costume) punzecchiato dalle zanzare".
Gi 着, dal verbo kiru 着, indossare, non è un costume e non può essere utilizzato che in combinazione con altre parole: keikogi (indumento da addestramento), shitagi (indumenti intimi)...
26 pag.191 "ugualmente per il Goo-no-kata, nominato anche Goo-ju (nome che gli diedi all'epoca dell'introduzione al Kodokan), tecnica che, mediante la contrapposizione di due forze di spinta o di trazione, oppure afferrarsi a vicenda, cerca di cogliere il momento opportuno per adeguarsi alla forza altrui per prevalere sull'avversario (queste forme sono confluite, con qualche variazione, nel Sei-ryoku-zen'yo-kukumin (così nel testo originale, n.d.R.) sotto il nome di kime-shiki)".
Il kime shiki dello Seiryoku zen'yō kokumin taiiku è cosi chiamato perché prende le sue tecniche dal Kime no kata, vale a dire dal kata in cui si usano gli atemi nel contesto del combattimento reale, mentre il Gō no kata partiva da presupposti affatto diversi e non usava atemi. Fra l'altro, il Maestro Kanō predispose la sezione aitai (o sōtai) del Seiryoku zen'yō kokumin taiiku partendo dal Kime no kata e dal Jū no kata, mentre aveva accantonato il Gō no kata per ragioni che illustra nel libro in questione. Non avrebbe avuto senso accantonare un kata che non lo soddisfaceva per poi inserirne le tecniche in un altro kata che potenzialmente tutti i bambini giapponesi avrebbero dovuto studiare come forma di educazione fisica, addestramento spirituale e preparazione al combattimento.
27 pag.210 "Un'altra formula efficace per la promozione del Judo consiste nel sistema di <<ginnastica del miglior impiego dell'energia>> e più precisamente nel Tandoku (fai da te) e del Kobo-shiki (allenamenti all'energia e all'adattabilita').
Si è già discusso precedentemente di "ginnastica" e di "energia". Tandoku 単独 è scritto con i caratteri di "soltanto" 単 e "da solo" 独, e significa "individuale" o "in solitaria". Potrei sbagliare ma credo che “fai da te” in italiano significhi un'altra cosa. Kobo shiki è un'acrobazia notevole. Kōbo 攻防, con diacritico, è l'abbreviazione di kōgeki bōgyo 攻撃防御, letteralmente "attacco e difesa". Viene qui glossato come "allenamenti all'energia e all'adattabilità ", ignorando la parola Kōbo 攻防e saltando a piè pari i relativi termini giapponesi: kime shiki 極式e jū shiki 柔式, cioè in "stile kime" e in "stile jū". Curiosamente, la glossa preferisce proporre kime come “energia”, e non come "decisione", come viene fatto di solito, anche se non del tutto correttamente. Così facendo infatti il kime shiki renshū diventerebbe l'allenamento in stile deciso, relegando automaticamente il jū no shiki alla poco lusinghiera definizione di stile indeciso. Non è questo il caso, naturalmente. Si rimanda all'articolo Il Kime no kata non è il kata della Decisione per una dettagliata discussione del significato di kime, in attesa che ne venga completata la seconda parte
28 pag.223 "SEI RYOKU -ZEN'YO KOKUMINTAIKU"
Seiryoku zen'yō kokumin taiiku. Con due i, date da tai 体, corpo, e iku 育, educazione. Diversamente, taiku 体躯 significa semplicemente corpo, quindi si starebbe parlando di corpo del popolo secondo il principio del miglior uso dell'energia fisica e mentale, non della sua educazione fisica. Poco probabile.
29 pag. 233 "lo stesso accade nel Jū no kata, i cui gesti mimano di raccogliere l'energia dell'universo per scaricarla sull'avversario".
Chiedo nuovamente venia ma senza vedere l'originale in giapponese non sono in grado di commentare, perciò chiedo a chiunque voglia farlo in mia vece: è così che si intendono i movimenti del jū no kata?
30 pag. 240 "Allenamento a coppia (sotai doza) ( e anche sotai renshu)
Esercizi di decisione (kime shiki)
Poco fa si è tradotto kime shiki come allenamento all'energia, ora sono esercizi di decisione, ma in un caso come nell'altro si tratta di aggiunte successive, non della parole del Maestro Kanō. Saltando la parola shiki, "stile". La glossa, in sotai doza, elimina due diacritici su due e sostituisce s con z, con il risultato di trasformare sōtai dōsa 相対動作, movimenti o azioni in coppia, in qualcosa senza senso.
31 pag. 240 "invece di reagire con la logica di <<go contro go>> (forza contro forza) [...]
Gō 剛, con diacritico, è "rigido", non "forte". Forza si scriverebbe 力, chikara oppure ryoku
32 pag. 263 "Allenamento a coppia basato sul kime (intenzione del gesto)
Terza definizione, ancora diversa, di cosa sia kime. Per la terza volta fuori strada, in quanto non si vede perché dovrebbe esserci "intenzione del gesto" qui e non nei gesti del jū no kata? Anche in questo caso, "intenzione del gesto" è una aggiunta successiva, non scritta dal Maestro Kanō.
33 pag. 264 "Allenamento a coppia basato sul movimento yawara".
Per cominciare, il maestro Kanō parla sistematicamente di jū, non di yawara, perché non sono affatto la stessa cosa, pur scrivendosi con lo stesso carattere. Uno è un concetto filosofico di origine cinese, l'altro è uno dei nomi del jūjutsu. Il titolo giapponese è 柔式 renshū, in stile jū. Non si parla di movimenti né di basi.
33 Il titolo
Ci sovviene, da ultimo, che 柔道教本 significa “libro dell’insegnamento del judo” oppure, con qualche sforzo, “base dell’insegnamento del judo”. Quale scelta editoriale motiva la scomparsa di “insegnamento dal titolo?” Perché in effetti c’è una consistente differenza fra le parole kyōhon 教本, di cui sopra, e kihon基本, che significa propriamente fondamento, fondamentale o base. A meno di smentite o spiegazioni di altro genere, bisogna concluderne che il titolo del libro è sbagliato.
Conclusioni
Anche se altri la pensano diversamente, come è giusto che sia, noi siamo della convinzione che affermare "il jūdō non è più giapponese, appartiene a chi lo pratica" sia fondamentalmente errato.
Il Kōdōkan jūdō è e rimane giapponese poiché è stato sviluppato in Giappone da un giapponese, sulla base della tradizione giapponese, per trasmettere valori che, pur avendo teoricamente valenza universale, sono radicati nella cultura giapponese, e viene descritto per mezzo di termini giapponesi.
Significa che l’unica possibilità è seguire pedissequamente le indicazioni d'oltreoceano? Non necessariamente, ma certo significa due cose: proprio perché si tratta di argomenti così importanti, capaci da soli di innescare discussioni interminabili, ogni traduzione deve essere curata nei minimi dettagli, ogni glossa deve essere motivata, e occorre riconoscere che decenni di esperienza pratica, benché meritori di tutti i riconoscimenti del caso, non sostituiscono lo studio e la conoscenza della lingua giapponese. Se i Fondamenti del Judo sono davvero quella pietra miliare nella conoscenza del jūdō in Italia, una sorta di Bibbia del jūdō, per così dire, non sarebbe lecito auspicare un maggior rigore e una maggiore precisione? Perché sia chiaro, la nostra personale revisione riguarda unicamente il testo italiano. Come sia stato effettivamente tradotto, se dal giapponese o dall'inglese, e con quale livello di accuratezza, non è dato sapere, ma quanto esposto in questo articolo autorizza a nutrire qualche dubbio.
Fino alla prossima volta
Acqua Autunnale
Gasshō _/\_
Articolo interessante, che merita sicuramente degli approfondimenti e suppongo anche delle precisazioni..
RispondiEliminaIn riferimento alle sottostanti affermazioni citate nell'articolosottostante: come traduce correttamente e che significato da alle parole Go, chowa e yawara?che tra l'altro non trovo praticamente descritte in nessun libro sul judo, se non in qualche libro italiano?
33 pag. 264 "Allenamento a coppia basato sul movimento yawara".
Per cominciare, il maestro Kanō parla sistematicamente di jū, non di yawara, perché non sono affatto la stessa cosa, pur scrivendosi con lo stesso carattere. Uno è un concetto filosofico di origine cinese, l'altro è uno dei nomi del jūjutsu. Il titolo giapponese è 柔式 renshū, in stile jū. Non si parla di movimenti né di basi.
Sostituirò i passi citati nel libro.
RispondiEliminaLa traduzione del tempo è stata affidata quindi a non addetti ai lavori....
Leggo da Wikepia/ judo riguardo al principio yawara. https://it.wikipedia.org/wiki/Judo
RispondiElimina"Le tecniche[modifica | modifica wikitesto]
Secondo il metodo d'insegnamento del Prof. Kanō, il Kōdōkan Jūdō consiste fondamentalmente nell'esercitare la tecnica di combattimento e nella ricerca teorica, entrambe cose elaborate dal principio "yawara".
« Yawara significa adeguarsi alla forza avversaria al fine di ottenere il pieno controllo. Esempio: se vengo assalito da un avversario che mi spinge con una certa forza, non devo contrastarlo, ma in un primo momento debbo adeguarmi alla sua azione e, avvalendomi proprio della sua forza, attirarlo a me facendogli piegare il corpo in avanti
[...] La teoria vale per ogni direzione in cui l'avversario eserciti forza.[2] »
(Jigorō Kanō)".......
Da quanto si asserisce nell'articolo sopradescritto il termine yawara non è appropriato in quanto non è un sostitutivo di ju che indica il concetto di adattarsi, cedere ecc. mentre yawara è solo un altro modo di elncare stili di jujutsu tipo . tai jutsu, wa jutsu ecc? Per cui se è così, ci stiamo trascinando da anni errori di traduzione?
Mushutoku e e Anonimi,
RispondiEliminagrazie di aver voluto commentare l'articolo in questione. Vi rispondiamo scusandoci di non poter usare i diacritici per le vocali lunghe, quindi ricorriamo all'espediente di trascriverle come sarebbero scritte in giapponese.
I problemi sono sostanzialmente tre:
1) Go chowa e yawara. Ci riserviamo di discuterne a fondo in un successivo articolo perche' e' un tema che ci e' particolarmente caro, quindi speriamo possa bastare per ora una risposta secca: 剛 gou, "rigido", 調和 chouwa "armonia", 柔ら "flessibile".
2) Go chowa e yawara 2 : non se ne parla in nessun testo di nessun periodo in nessuna lingua, tranne che in italiano.
3) Yawara o juu. bisogna ragionare partendo dal presupposto che nella mente dei giapponesi, quando si discute di yawara o di juu, non compaiono queste parole, ma il carattere 柔, con il quale si scrivono entrambi. Ora, dal punto di vista storico, il juujutsu e' nato come applicazione del principio filosofico cinese 柔能剛制, cioe' "cio' che e' flessibile puo' prevalere su cio' che e' rigido", letto in giapponese "juu yoku gou wo sei su". Yawara era un sinonimo, come tanti altri, di juujutsu, cioe' del combattimento basato sul principio di cui sopra. Tuttavia, e' noto che il juudou si basa non sul principio del juu, bensi' su due principi nuovi: 精力善用 seiryoku zen'you e 自他共栄 jita kyouei. La ragione e' semplice: "cio' che e' flessibile PUO' prevalere" significa che il prevalere non e' automatico e a volte occorrono altri principi, nello specifico gli atemi, che non hanno nulla di juu, ma che costituiscono talora il modo migliore di usare la propria forza per ottenere un risultato (zen'you).
E' necessario, benche' possa sembrare pedante per alcuni e fastidioso per altri, capire che juu e yawara non sono la stessa cosa. Del resto avrebbe avuto poco senso per il Maestro Kano sostenere di volersi distanziare dal juujutsu tradizionale per sostenere poi che il proprio stile, metodo o che dir si voglia, era basato sullo yawara, che e' un sinonimo di juujutsu. Infatti il Maestro parla di juu, nel senso del principio di origine cinese descritto sopra. Quindi, temo che la risposta sia si': da diversi anni in Italia si usano diverse traduzioni sbagliate o comunque imprecise.
RispondiEliminaGrazie per la precisa e chiara risposta, erano dubbi che avevo da molto tempo.
Mushotoku