Confucio - Rettificazione dei nomi, virtù e responsabilità dell'insegnamento.


Che cos'è un sensei?

Varrebbe la pena di soffermarsi attentamente sul significato del termine sensei, tanto per coloro che lo usano che per coloro che lo ricevono. L'uso del termine sensei comporta una automatica assegnazione di responsabilità a chi lo riceve. Non è un semplice appellativo onorifico, ma la constatazione di una responsabilità concreta e oggettiva. 先生 significa essere nato 生 avanti先, cioè prima, perciò chi è così chiamato detiene l'onere di essere d'esempio a tutti coloro che sono più giovani. Si può anche interpretare come chi vive 生 prima 先、 cioè con chi deve per primo passare attraverso l'esperienza per poter guidare quelli che seguiranno.

Kǒngzi e la rettificazione dei nomi

Uno dei grandi maestri dell'Asia, Kǒngzi 孔子 (551 - 479 a.C. in seguito latinizzato come Confucio), concentrò tutta la propria attenzione su un unico punto: l'edificazione di una società giusta. Lo fece, in maniera tanto rara quanto originale, da una prospettiva rigorosamente laica, senza delegittimare la religione ma nel contempo senza mai accordarle alcun valore pratico al di là della sfera individuale. Vivendo in un'epoca di enorme difficoltà, poiché si trattava delle guerre civili note come Primavere e Autunni, Kǒngzi ambiva a identificare una via per mantenere la pace in maniera duratura. La sua filosofia si può riassumere così:

1. La società è indispensabile al benessere degli esseri umani
2. La società si fonda sulla famiglia
3. La famiglia si fonda sulla relazione fra i suoi membri: sposo e sposa, padre madre e figli, ciascuno con il proprio ruolo e i propri doveri.

Partendo da queste premesse,  Kǒngzi illustra le Cinque Relazioni e le Cinque Virtù che le governano:

1. 君臣 Sovrano suddito, regolata dal                  仁 (ni, "benevolenza, umanità")
2. 親子 Genitori figli, regolata dal                         義 (gi, "dovere")
3. 夫婦 Sposo sposa, regolato dal                       礼 (rei, "rispetto")
4. 兄弟 Fratello maggiore minore, regolato dal    知 (chi "conoscenza")
5. 友友 Amico amico, regolato dal                       信 (shin "fiducia")

Questo presuppone un rapporto biunivoco fra i due termini di ciascuna relazione, dove il primo ha la responsabilità di prendersi cura del secondo e il secondo ha la responsabilità di seguire il primo.
Per questa ragione, ad esempio, gli hakama del kendō hanno cinque pieghe, per rammentare al kendōka che il suo addestramento a queste Cinque Virtù è sempre in corso.
Non potendo imporre con la forza la conoscenza né tanto meno il rispetto di questi principi (il primo imperatore cinese, Qin Shi Huangdi, tenterà, e fallirà, affidandosi alle tecniche repressive della Scuola dei Legisti),  Kǒngzi riconosce nell'educazione il solo strumento realmente efficace e in grado di contribuire alla formazione dell'essere umano.

La rettificazione dei nomi

Qualsiasi forma di educazione, anche quella fra pari, presuppone che il flusso della conoscenza si muova da un soggetto all'altro e che essa venga trasmessa tramite un linguaggio. Quindi, se la lingua è viziata, il processo rischia di incepparsi. Si pensi ad esempio alla lingua cinese, scritta interamente in caratteri, dove una minima variazione è in grado di sovvertire il significato della parola: si può passare da "grande" 大 a "cane" 犬 a "troppo" 太 letteralmente con un singolo tratto. Lo stesso vale per la pronuncia poiché, come è noto, il cinese standard possiede cinque toni diversi per ciascuna vocale, che producono parole completamente diverse. Ad esempio ma 吗 (particella interrogativa), mā 妈 (madre)  马 mǎ (cavallo) etc... Tuttavia, il vero pericolo viene da una mutazione più subdola, che perverte la lingua parlata non tanto nella forma, ma nel contenuto. Cominciando ad esempio dalla parola "onore", di nobilissimo significato, insozzata dall'espressione "uomini d'onore" per riferirsi ai mafiosi, fino a obbrobri linguistici come "agibilità politica" e "flessibilità del lavoro".  Kǒngzi esorta innanzi tutto a "rettificare i nomi" (正名), a chiamare cioè le cose con il loro nome, a dirle nel modo corretto. 


Ecco perché ci sono due cose che i praticanti di arti marziali dovrebbero fare:
1. Imparare a pronunciare correttamente le parole dell'arte marziale che studiano, perché la rettificazione dei nomi passa non solo dall'accuratezza del significato, ma anche dalla correttezza del significante, volendo usare due categorie del padre della linguistica moderna, Ferdinand de Saussure (vai alla pagina)

2. Astenersi dall'improvvisare o attribuire arbitrariamente a parole significati che non hanno, o peggio, inventare parole o concetti assenti nella lingua in oggetto. A titolo di esempio, *mae ae, al posto di "maai" 間合い del quale abbiamo parlato nell'articolo sulle distanze.
Questo è di importanza cruciale soprattutto per i maestri, in quanto soggetti alla maledizione di essere creduti volentieri dai propri allievi, specialmente in un mondo come quello delle arti di combattimento dove le informazioni di prima mano sono deliberatamente scarse, elusive e difficili da reperire. Basta ad esempio un errore fatto in buona fede, oppure per una mancata verifica delle fonti, o magari per proprio partito preso, per avere numerosissime persone esposte a un insegnamento fallace. E se si può pensare che, qualora si tratti del nome di una tecnica, sia un vizio di poco conto, ve ne sono sfortunatamente altri non altrettanto innocui, soprattutto se sono materia d'esame per futuri portatori di dan. Vale a dire persone che avranno, un giorno, la responsabilità di trasmettere correttamente l'insegnamento che hanno ricevuto, per rispetto tanto verso i propri maestri che verso i propri allievi.
Se tutto questo dovesse sembrare irrilevante, basterà ricordare che il confucianesimo, in particolare il neoconfucianesimo Song, è uno dei pilastri della cultura samurai e i suoi concetti si ritrovano citati  ampiamente nei densho di numerose scuole, in particolare per quanto riguarda il significato e il valore di 柔, o yawara, nel Kito ryū jūjutsu.

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gasshō _/\_



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