De ashi barai oppure de ashi harai?


Le difficoltà del Giapponese scritto





È certo un bel grattacapo dover prendere familiarità con le finezze, le minuzie e gli innumerevoli tranelli della lingua giapponese, la quale veniva definita dal missionario gesuita Francesco Saverio "di infernale complessità". Saverio si riferiva nello specifico al suo sistema di scrittura, che coniuga ben tre sottosistemi di trascrizione: 
  1. I caratteri importati dalla Cina, e chiamati kanji 漢字 (letteralmente i caratteri 字 degli Hàn 漢, l'etnia dominante in Cina). 
  2. Il sillabario hiragana平仮名
  3. Il sillabario katakana片仮名

Ecco un esempio: la parola Giappone, cioè "Nihon", può essere scritta in uno dei seguenti modi:
  1. 日本 
  2. にほん
  3. ニホン
La consuetudine prevede che si scrivano in kanji quelle che in linguistica vengono definite parole "piene": nomi, verbi, avverbi e aggettivi, cioè quei concetti per i quali è stato possibile trovare una rappresentazione figurativa. Lo hiragana viene usato per aggiungere altre parti del discorso come le terminazioni verbali, le preposizioni etc.

Ad esempio, "vado" si scrive 行く, dove il kanji 行 indica il verbo andare e la sillaba く indica il presente/futuro (che in Giapponese sono indistinguibili. Cominciate a capire i sentimenti di Francesco Saverio, immagino).

La pronuncia del Giapponese, oggetto del prossimo articolo, non è eccessivamente complessa ne' particolarmente distante da quella dell'Italiano. Tuttavia, è indispensabile anticiparne alcuni tratti per poter sviluppare adeguatamente il tema attuale.

Tutte le lingue umane contengono, in misura variabile, consonanti "sorde" e consonanti "sonore". La differenza consiste nel fatto che le pliche vocali vibrino o meno.

Prendendo ad esempio la coppia /p/ /b/ dell'Italiano,

/p/ non fa vibrare le corde vocali, ed è dunque una consonante sorda.
/b/ fa vibrare le corde vocali, ed è dunque una consonante sonora


Il rendaku


Il rendaku 連濁 è un ben noto fenomeno della lingua giapponese, malgrado i principi che lo governano siano ancora in parte sconosciuti, che riguarda la trasformazione delle consonanti da sorde a sonore. Una consonante sorda che si trova all'inizio di una parola si trasforma in consonante sonora quando questa parola viene usata per formare un composto.

Ad esempio, la /s/ sorda di "sushi" diventa /z/ sonora nella parola "temakizushi".

La stessa cosa avviene frequentemente per la /h/ aspirata, la quale si trasforma in /b/.  Ad esempio, 
  1. la parola hito 人, "persona", diventa hitobito 人々 per dire "persone"
  2. la parola hana 花, fiore, diventa bana in ikebana 生け花
  3. la parola tera 寺, tempio, diventa dera in yamadera 山寺, tempio di montagna
Dire *ikehana o *yamatera non pregiudica irreversibilmente la comprensione del messaggio, ma dal punto di vista della lingua corrente e' scorretto.

Veniamo ora al caso in questione.

La nostra tecnica è composta da tre parole distinte:
  • de, dal verbo deru, "uscire"
  • ashi, cioé l'arto inferiore. La lingua giapponese non distingue fra piede e gamba
  • 払い, dal verbo harau 払う, "pagare" o "spazzare".
  • TOTALE: 出足払い 
La prima cosa da notare è il passaggio da harau a harai. La presenza della /i/ in fondo al verbo in luogo della /u/ indica che il verbo è nominalizzato, cioè è da intendersi con "lo spazzare". Quindi, per estensione, "spazzata".
In secondo luogo, il verbo harau è usato in un composto insieme a de e a ashi, il che significa, a norma di consuetudine, che la sua /h/ iniziale si trasforma in /b/ per il principio del rendaku. Quindi, deashibarai

Come accennato prima, i meccanismi del rendaku non sono ancora del tutto chiari, perciò non esiste una regola scritta che imponga ad ogni costo la pronuncia deashibarai. In queste circostanze, la cosa migliore è affidarsi ai parlanti nativi.
  1. La pagina di wikipedia relativa alla tecnica comincia con  出足払(であしばらい、であしはらい). in grassetto c'è il nome della tecnica scritto in kanji, seguito tra parentesi da deashibarai e deashiharai. La differenza è dalla dalla presenza di due trattini in alto a destra sulla sillaba haは, che la trasformano in baば. Da un punto di vista strettamente tecnico, viene annotata prima la pronuncia più comune poi quella meno comune.
  2. Il sito judopractice indica la tecnica tra parentesi come deashibarai (であしばらい)
  3. Il sito kotobanku, uno dei principali dizionari online di lingua giapponese, dà la trascrizione della tecnica in katakana come デアシバライ, cioè deashibarai.
Alla luce di quanto sopra, si può quindi affermare che entrambe le pronunce sono accettabili, ma che deashibarai è di gran lunga la più diffusa fra i parlanti madrelingua e la più rigorosa dal punto di vista delle consuetudini del Giapponese. Dunque, che deashibarai non è affatto un errore di traduzione, come talvolta si sente affermare. Discorso analogo vale per okuri ashibarai.


Fino alla prossima volta
Acqua Autunnale
gasshō _/\_

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